- Mosaico di Pompei: In un grande edificio facente parte del gruppo di fabbricati contrassegnati dal n° 5, nella 1a regione dell’antica Pompei, durante il corso degli scavi, venne scoperto nel mezzo di un Triclinio (sala da pranzo così chiamata dai tre divani disposti intorno ad un tavolo centrale, sui quali si sdraiavano i commensali per mangiare) un mosaico, in cui erano raffigurati emblemi massonici e pitagorici. Il prezioso M. è attualmente conservato nel Museo Archeologico di Napoli. Tale figura rappresenta un ruota a sei raggi, sulla quale è posata una farfalla. Al di sopra un teschio umano corona l’insieme, e sopra di questo vi è un archipendolo triangolare munito di filo a piombo. Ricordando che la parola greca psukhe è sinonimo sia di anima che di farfalla, e visto che il termine psichico si applicava, nel mondo antico ma soprattutto nell’ambito gnostico, ai profani legati alla materia dalle loro imperfezioni e dai loro desideri, si può comprendere perché la farfalla sia stata posta sopra la ruota, simbolo del Mutamento e della Trasmigrazione (non della Metempsicosi, v.). Il profano (farfalla) legato alla ruota del mutamento e delle trasmigrazioni, non potrà liberarsene se non con la morte totale (teschio), morte che lo integrerà nel Pleroma (v.) iniziale (archipendolo), immagine dell’Eguaglianza originale riconquistata, cioè del ritorno all’unità primordiale. A destra è visibile una veste smessa (profano), ed a sinistra una veste nuova (iniziato). Occorre infine ricordare che la farfalla è simbolo palingenetico (di rinnovamento e rigenerazione), e diventa tale per trasmutazione del bruco all’interno della crisalide, uovo filosofale e simbolo della morte mistica. Della stessa epoca è nota dal Fileboun’insolita frase di Platone. "Ciò che qui intendo per bellezza di forme non è già quello che il profano generalmente intende sotto questo nome, ma bensì ciò che risiede nel saggio e giudizioso impiego del compasso, del filo e della squadra".

-Mosé: Dall’ebraico Moseh e dall’egiziano ms(w), figlio. Secondo un’etimologia più popolare il nome deriverebbe dall’egiziano mo, acqua, e useh, salvare, ovvero salvato dall’acqua. Fu liberatore, legislatore e profeta d’Israele nella metà del XIII secolo a.C. Le uniche notizie su M. sono desunte dall’Antico Testamento (Esodo, Numeri, Levitico, Deuterononio e Giosué), sono contraddittorie ed oscure. Secondo il racconto biblico, M. nacque in Egitto da una famiglia ebraica della tribù di Levi. Il faraone aveva ordinato che i neonati ebrei maschi fossero gettati nel Nilo, e la madre Jokhebed abbandonò M. sul fiume, racchiuso in un cesto di vimini. Salvato dalle acque dalla figlia del faraone, venne poi edu-cato a corte. Consapevole però della sua origine, verso i quarant’anni, coinvolto in una lite tra egiziani ed ebrei, uccise una guardia egiziana. Costretto a fuggire, trovò rifugio nel deserto del Sinai, presso Jetro, sacerdote di Madian, e ne sposò la figlia Zippora (o Sefora). Durante il soggiorno nel deserto, ebbe la visione del Dio di Abramo, e la rivelazione del suo nome (Yawheh). Ritornato in Egitto, dopo lunghe trattative con il nuovo faraone, rese drammatiche dalla coincidenza con una serie di drammaticità (le piaghe d’Egitto), ottenne alla fine l’autorizzazione a far uscire dall’Egitto gli ebrei che abitavano in condizione di schiavitù a Gosen. Ma il faraone, cambiato parere, lanciò il suo esercito all’inseguimento degli ebrei: le acque del Mar Rosso, apertesi davanti agli ebrei che potevano così raggiungere l’altra sponda, si richiusero poi, sommergendo l’esercito del faraone. Quando gli ebrei giunsero ai piedi del monte Horeb, nel deserto del Sinai, M. ricevette da Dio il Decalogo (v.), ed una serie di norme legislative sia civili che cultuali. Durante il lungo soggiorno nel deserto, durato ben quarant’anni, le relazioni fra M. ed il popolo furono dure e difficili, con defezioni, congiure e ribellioni, cui non furono estranei il fratello Aronne e la sorella Miriam. A causa di un misterioso peccato, a M. venne impedito l’accesso alla meta finale, la terra promessa. Morì sul monte Nebo, dopo aver nominato suo successore Giosué. A M. la Bibbia attribuisce direttamente un libro di leggi (Esodo 24, 4-7), un canto (Deuteronomio 32, 1-43), la benedizione delle dodici tribù (Deuteronomio 33, 1-29) ed il Salmo 90. Il racconto biblico tiene a mettere in evidenza che M. non solo liberò gli Ebrei dalla schiavitù in Egitto, ma fece di loro un popolo capace di ricevere la rivelazione divina. Quindi non fu soltanto il loro legislatore, ma soprattutto il fondatore del monoteismo in Israele, ed intermediario fra Dio ed il popolo, per la loro unione attraverso un Patto eterno. L’ebraismo considera perciò M. come la figura più importante dell’Antico Testamento, e attraverso i secoli ne ha fatto il protagonista di varie leggende. Secondo la tradizione, M. avrebbe ricevuto sul Sinai non soltanto la legge scritta (Torah, v.), ma anche la legge orale (Misnah, v.). Le scuole rabbiniche attribuiscono a M. l’intero Pentateuco (v.). Due apocrifi portano il suo nome: l’Apocalisse di M. (del I secolo a.C.) e l’Assunzione di M. (I secolo d.C.). La critica moderna sostiene la storicità di avvenimenti relativi all’Esodo degli Ebrei dall’Egitto, verso Kanaan, e li colloca al tempo dei faraoni Ramesse II (persecuzione) e Meremptah Horphimare (Esodo), quindi verso la metà del XIII secolo a. C. Nel Nuovo Testamento M. è il profeta che ha predetto Gesù, di cui è una prefigurazione, ed è martire incompreso ed esempio di pura fede. Anche nel Corano M. occupa un posto importante: Noé, Abramo e M. sono indicati come i tre primi veri credenti; in particolare M., come il profeta che ha annunciato la venuta di Maometto (Corano 7, 140, 156).

Mostri: Il più famoso tra i M. è sicuramente quello di Loch Ness. Trovare il Loch (il Lago, in lingua gaelica) è semplice, poiché numerosi cartelli indicano a chi si aggira tra le colline della contea di Inverness, in Scozia, la direzione Loch Ness, più famoso per la presunta presenza del mostro che per la singolarità di questo bacino. Esso è caratterizzato da una superficie di circa 56 kmq, una lunghezza di oltre trenta chilometri, una notevole profondità e dal sospetto che sia collegato da canali sotterranei con il mare. Il grigiore dello specchio d'acqua, la foschia che lo sovrasta costantemente, le vestigia inquietanti del castello di Urquhart, riempiono di aspettativa l'animo del curioso che spera di essere privilegiato da una comparsa anche fugace di Nessie, nomignolo affettuoso conferito dalla stampa al più famoso dei mostri lacustri. Da quando, nel maggio 1934, un certo Mr. Wilson riuscì a fotografare una sagoma dal collo allungato e dal corpo tozzo che emergeva dal lago in tutta la sua straordinaria grandezza, l'antica leggenda riferita da Sant'Adamnano, secondo cui San Colombano avrebbe salvato un suo discepolo dalle fauci di un gigantesco mostro nascosto nel lago di Ness, tornò d'improvviso alla ribalta, insieme alle molte tradizioni inglesi che riguardano i draghi. È adorato dai mezzi d’informazione. Principale promotore di questo rilancio fu il giornalista Alex Campbell, corrispondente dell'Inverness Courier, che riuscì a diffondere con molta abilità la storia di questo primo avvistamento, si dice anche per incentivare lo scarso turismo della zona. Da allora, i visitatori non mancano, ed è nata una vera e propria industria commerciale relativa al mostro (a Drumnadrochit esiste una Loch Ness Monster Exhibition, una mostra permanente dove si vendono ogni sorta di oggetti che lo riguardano). Nessie è stata fotografata molte volte; le immagini migliori sono state realizzate nel 1975 da uno studioso di Boston. Vi si scorge una sagoma simile a quella di un plesiosauro, gigantesco rettile estinto da milioni di anni. In altre immagini, Nessie ricorda invece il mitico serpente marino, altra fantomatica creatura che, grazie al suo moto ondulatorio, mostra alternativamente il dorso, la testa e la coda. C'è chi ritiene che il mostro di Loch Ness sia l'erede di qualche rettile preistorico rimasto bloccato, verso la fine dell'ultima era glaciale, in quello che poi è diventato l'attuale lago. In tal caso, per perpetuare la stirpe, i mostri dovrebbero essere almeno due, un maschio e una femmina, il che potrebbe giustificare le differenze d'aspetto tra le creature avvistate. Nell'autunno 1987 un gruppo di Nessologi di tutto il mondo, coordinato dal naturalista Adrian Shine, ha organizzato una vera e propria battuta di caccia al mostro. L'Operazione Deepscan era stata realizzata con l'aiuto di sofisticatissime apparecchiature per la ricerca subacquea. La lunga serie di appostamenti, seguita con ironia mista a curiosità dalla stampa di tutto il mondo, si è conclusa con un nulla di fatto. Benché sia indubbia l'esistenza di qualcosa che si muove in fondo allo specchio d'acqua, la prova inconfutabile che trasferisca Nessie dalla leggenda alla storia non è stata ancora trovata. La Scozia vanta indubbiamente il mostro lacustre più celebre, ma non certo l'unico. Quella che segue è una sintetica panoramica dei mostri lacustri di tutto il mondo. · Stati Uniti. Detengono il primato assoluto del numero di queste apparizioni: in almeno 90 laghi americani sono stati avvistati oggetti natanti non identificati. Del resto ogni tribù pellerossa enumerava tra le sue divinità una straordinaria creatura d'acqua: un serpente per i Mic-Mac della Nuova Scozia, il mostro Onijore per gli Irochesi dello stato di New York, il mostro del lago Manitou per i Potawatomi, e così via. Mostri di varie fogge sono stati visti nel lago Eire, in prossimità di Buffalo; nel lago Utopia in Canada; nel lago Champlain e nei grandi laghi occidentali del Nord America. Molte sono le prove fotografiche; purtroppo altrettante sono le smentite. · Australia. Nel lago Modewarre vivrebbe uno straordinario animale anfibio, che i nativi chiamano Bunyip e di cui pochi privilegiati vantano d’aver visto il dorso, coperto di pelo o di più di color grigio scuro. Sarebbe grande come un vitello, e si mostrerebbe solo quando il tempo è calmo. I nativi ne hanno una gran paura, giacché credono che i Bunyip abbiano poteri soprannaturali e possano causare agli uomini morte, malattie e altre disgrazie. Questa e altre strane creature come il Noocoonah e il Moha-Moha, infesterebbero le paludi e i laghi dell'Australia, lanciando nella notte lugubri grida gutturali. Nonostante molti altri avvistamenti da parte di bianchi, i colonizzatori d'origine europea non hanno mai creduto al Bunyip, il cui nome nel dialetto di Sidney, è divenuto sinonimo di frottola. A questo leggendario abitatore delle paludi è ispirato un recente film australiano, intitolato Il mistero del lago scuro. · Giappone. Si chiama Issie e abita nel lago Ikeda; l'ha fotografato per la prima volta un certo signor Matsubara nel 1978. Il mostro ha generato una vera e propria industria commerciale: esistono persino gli Involtini Issie, al delicato sapore di alghe. · Cina. Avvistato per la prima volta nel 1962, il mostro del lago di Shennonjia assomiglia a un enorme rospo, ma ha lunghi peli dorati e due specie di mani dai grandi artigli. Quando lo disturbano sputa acqua. Il biologo Liu Minzhang ritiene si possa trattare di un esemplare di una specie anfibia ritenuta estinta. · Comunità di Stati Indipendenti. Nel lago di Labynkyr, in Jakuzia, si celerebbe un mostro lacustre che assomiglia a un’enorme botte di metallo lucido, ed ha sulla testa due protuberanze distanti l’una dall’altra almeno due metri, che potrebbero costituirne gli occhi. Questa sorta di incubo vivente è stato avvistato per la prima volta nel 1955. Sempre in Siberia, a 150 chilometri a Sud del Mar Glaciale Artico, il lago di Khyeyr nasconderebbe un altro ospite antidiluviano, dotato di un corpo nero e coperto di squame, con una testa piccolissima su un collo serpentiforme: è identico ad altri esseri avvistati in numerosi laghi dell’isolato altopiano di Oimyakon. E ancora in Siberia, nel lago di Verota, vive il mostro di maggiori dimensioni: è lungo almeno otto metri, ha un’enorme testa piatta ed emette possenti ruggiti. Varie spedizioni si sono recate alla sua ricerca equipaggiate con sonar, ma, come l’elusiva Nessie, anche il Mostro del Lago di Verota ha preferito non lasciarsi fotografare. · Italia. Testimonianze e leggende parlano di mostri lacustri in Val d’Aosta (nel torrente Loo), in Lombardia (nelle paludi dell’Adda e nei laghi Maggiore e di Como), in Trentino, nelle paludi romagnole (a Forlì c’è un celebre dipinto del Cigoli intitolato San Mercuriale uccide il Drago), in Liguria, in Abruzzo (del mostro di Atessa, ucciso da San Leucio, è ancora conservata in parrocchia una costola lunga due metri), in Campania, in Sicilia, in Sardegna (il mostro locale si chiamava Scultone, e venne ucciso da San Pietro. Tra gli avvistamenti moderni, ricordiamo quello dell’insidioso Pesce siluro, gigantesco (e reale) essere fluviale che terrorizza i pescatori del Delta del Po.

-Mozart: Wolfgang Amadeus, compositore austriaco (Salisburgo, 27.1.1756 - Vienna, 5.12.1791). Ebbe le prime lezioni dal padre Leopold, che curava con competenza l'educazione musicale sua e della sorella Maria Anna Walburga detta Nannerl (1751-1829), mettendolo in contatto con la severa polifonia barocca di Eberlin, con lo stile galante tedesco (di Telemann e dei figli di Bach) ed italiano di Scarlatti, con il Lied protestante popolaresco, e con l'opera italiana. A cinque anni fece la prima apparizione in pubblico come corista, e subito dopo scriveva le sue prime composizioni cembalistiche. Fra il 1762 ed il 1766 fece una lunga tournée con la sorella, attraverso l'Austria, la Germania, il Belgio, l'Olanda, l'Inghilterra, la Francia e la Svizzera, accolto ovunque come un bimbo prodigio. Al suo ritorno a Salisburgo produce molte composizioni, di cui alcune date alle stampe, nel 1768 scrive la sua prima opera buffa, La finta semplice, ed il primo Singspiel, Bastiano e Bastiana. Poi si dedica, sempre sotto la guida del padre, ad approfondire la conoscenza della musica italiana, soprattutto dell'opera, un bagaglio per lui indispensabile per poter sperare in una proficua attività da operista a Vienna. Fra il 1969 ed il 1771 compie un lungo viaggio in Italia, che lo porta fino a Napoli, avendo così la possibilità di farsi un'idea diretta dell'arte e della tecnica del bel canto. Riceve lezioni sul contrappunto da Padre Martini, e scrive l'opera seria Mitridate re del Ponto rappresentata a Milano nel 1770 con grande successo. A questo punto la musica europea non ha più segreti per il quindicenne M., che si appresta alla sua formidabile opera di sintesi, ma quella definitiva sistemazione professionale voluta sia da lui che dal padre non si è ancora realizzata. Scrive varie opere su ordinazione milanese, come Ascanio in Alba (1771) e Lucio Silla (1772), nonché l'oratorio La Betulia per Padova, che non hanno un gran seguito. Il servizio alla corte di Salisburgo è molto mal pagato, e rappresenta una fonte di contrasti con il conte di Colloredo, fino al brusco congedo del 1781. Affascinato dai sinfonisti ed in particolare da Haydn, si reca spesso a Vienna, ben accolto dagli aristocratici ma tenuto lontano dalla corte imperiale. Nel 1777 un viaggio a Parigi non comporta alcun vantaggio economico, ma è qui che M. si avvicina sempre più alla musica strumentale (sonate per violino, concerti per violino, pianoforte ed orchestra, ecc.). Qui egli conosce un ambiente in cui l'artista comincia ad essere un uomo libero che vive dei proventi della sua produzione artistica anziché di uno stipendio. La morte della madre lo matura definitivamente, come uomo, staccandolo dall'influsso paterno. Il successo a Monaco dell'opera seria Idomeneo (1781) lo convince a stabilirsi a Vienna, dove vive dei proventi dei concerti, delle edizioni e delle lezioni, in attesa di un importante incarico a corte. Nel 1782 sposa Konstanze Weber (1758-1826), ed ha inizio il più fortunato momento della vita di M. I nobili lo proteggono, gli affidano i figli per lezioni di pianoforte, i concerti pubblici hanno successo, e le case editrici viennesi pagano bene le sue composizioni. Il grande successo ottenuto nel 1782 dal "Ratto del serraglio" (Die Entführung aus dem Serail) dà a M. la certezza che ormai i teatri viennesi gli hanno aperto le porte. Invece passeranno vari anni prima che il successo gli arrida di nuovo; fu solo nel 1787 che il Don Giovanni e le Nozze di Figaro mandarono alle stelle l'entusiasmo popolare praghese. M. ricominciò faticosamente a viaggiare attraverso la Germania, senza averne vantaggio alcuno. Ormai allo stremo delle forze, nel 1790 ottiene l'ordinazione per l'opera buffa Così fan tutte, e l'anno successivo riesce a dar seguito al vecchio progetto di un’opera nazionale tedesca, già vagheggiato con il Ratto, scrivendo Die Zauberflöte (Il Flauto magico v.) e poi La clemenza di Tito, per celebrare l'incoronazione di Leopoldo II. Il nuovo imperatore riaccende le speranze di M. per un prestigioso e redditizio incarico a corte. Purtroppo riesce solo ad ottenere un giro di concerti e l'incarico dall'Inghilterra per varie opere serie e buffe, mentre alcuni nobili ungheresi decidono di provvedere largamente per il suo mantenimento. Ma M., che sta componendo un Requiem che non porterà a termine, non vedrà la realizzazione di questi progetti. Pare che nell'ottobre del 1791 passeggiasse nei giardini del Prater con la moglie Costanza, quando improvvisamente, tra le lacrime, le annunciava la sua morte imminente per avvelenamento con queste parole: "So che devo morire, qualcuno mi ha dato dell'acqua tofana, ed ha calcolato il giorno preciso della mia morte". All'una del mattino del 6 dicembre 1791, dopo due giorni di agonia solitaria, M. moriva. Al termine d'una breve e modesta cerimonia funebre nella cattedrale di Santo Stefano, la sua salma giunse senza alcun accompagnamento al cimitero di San Marco, ove venne sepolta in una Reihengrab (fossa comune), profonda due metri e mezzo, in cui i corpi erano accatastati in tre strati, senza alcun segno di riconoscimento. La sua produzione, che conta oltre 650 titoli, abbraccia tutti i generi di musica allora praticati, riuscendo sempre esemplare per l'evidente capacità di assimilare rapidamente i modelli, dando loro una rara perfezione formale, e piegandoli negli ultimi anni ad esprimere contenuti nuovi, personalissimi, frutto di una rielaborazione che teneva presente tutta la grande musica del passato, intuendo con geniali lampi la grande svolta soggettiva del Romanticismo. Può essere esemplare la parabola della Sinfonia, dal semplice impianto galante desunto da J. Christian Bach o da Sammartini, alla grandiosità barocca della Jupiter (1788) ed alla tensione fatalista della Sinfonia in sol minore (1788). Analogo discorso può essere fatto per circa 25 Quartetti per archi, per le 22 Sonate per pianoforte, e soprattutto per i 25 concerti per pianoforte ed orchestra, mirabile summa dell'arte mozartiana. Ma è nell'opera che il genio sublime di M. realizza uno dei più grandiosi monumenti della storia musicale, dandoci una completa ed articolata visione della società del suo tempo, travagliata da quella profonda trasformazione fra Illuminismo, Sturm und Drang e Romanticismo, che segnerà una profonda svolta nella cultura e nella società europea. Y (Massoneria) Alle 18,30 del 14 dicembre 1784 il maestro di cappella W. A. Mozart veniva iniziato Apprendista Libero Muratore nella Loggia Zur Wohltätigkeit (Alla Beneficenza), un'Officina formata da aristocratici, alti funzionari e notabili della società viennese. Il 7 gennaio 1785 venne elevato al grado di Compagno nella Loggia Zur wahren Eintracht (Alla vera Concordia), nella quale fu infine iniziato Maestro Massone tre mesi dopo. Nella stessa officina lo seguirono, a distanza di due mesi, il padre Leopold ed Haydn. La sua composizione di ispirazione massonica inizia con i due adagi per fiati K410 (per due corni di bassetto e fagotto) e K411 (per due clarinetti e tre corni di bassetto), per terminare con le sue ultime opere: Laut verkünde unsre Freude (Annuncia ad alta voce la nostra gioia) una cantata in do maggiore per tenore, basso, coro maschile ed orchestra n° K623 e Laßt uns mit geschlungen Händen (Prendiamoci per mano) cantata in fa maggiore per coro maschile ed organo n° K623a, diventata poi inno nazionale austriaco. Quest'ultima opera veniva eseguita quando i massoni, alla chiusura dei Lavori, intrecciando le mani nella Catena d'unione voluta dai rituali, intonavano un breve canto di gioiosa fraternità. L'addio che M. fece cantare ai suoi Fratelli, indirizzato a tutti quanti amava, parla d'amore, di lavoro, di futuro, per concludersi con la parola "Luce". Ecco una traduzione a senso del testo, illustrante appieno espressioni e sentimenti compresi nel sublime messaggio originale tedesco: "Fratelli, prendiamoci per mano alla fine di questo Lavoro, con il sonoro fulgore della nostra gioia. Come questo luogo sacro, la nostra Catena racchiuda l'intero globo terracqueo. Con i nostri allegri canti rendiamo grazie al Creatore Onnipotente. La consacrazione è avvenuta, dunque deve terminare il lavoro, al quale abbiamo dedicato i nostri cuori. Sia sempre per ognuno di noi primo dovere il venerare la virtù e l'umanità, l'apprendere ed il praticare l'amore per il prossimo. Sarà allora che da Oriente ad Occidente, dal Settentrione al Mezzogiorno, sull'essere umano brillerà la Luce". Occorre infine ribadire che il suo toccante e misterioso Requiem, iniziato pochi giorni prima della morte, fu volutamente lasciato incompiuto da M., rivelandosi luminoso simbolo di come il più grande genio della storia musicale avesse veramente fatto propria la profonda essenza del messaggio massonico.

Mu: La Madreterra dell’uomo. La vicenda di Mu ebbe inizio con la scoperta di Khara Kota, città sepolta dalle sabbie del Deserto del Gobi, ritrovata all’inizio del secolo dall’avventuriero russo Kolkov. Sotto le mura di questa città, l’esploratore asserì di averne ritrovato un’altra più antica, Uighur, capitale del regno dei mongoli delle steppe che portavano questo nome; il suo stemma era la lettera greca M (Mu) inscritta in un cerchio diviso in quattro settori. Sulla reale portata dei ritrovamenti di Kolkov vi sono giustificati dubbi, in quanto i pochi resti rinvenuti sul luogo da esploratori successivi non corrispondono affatto alle magnificenze da lui descritte. Comunque sta di fatto che, secondo James Churchward, Uighur era una semplice colonia di un vasto continente, che egli battezzò per l’appunto Mu. Esso occupava un territorio delimitato dalle attuali isole Fiji, dalle Marianne, dalle Haway e dall'Isola di Pasqua. Sarebbe stato abitato da sessantaquattro milioni di persone, ed estendeva il proprio dominio su tutto il mondo, compresa Atlantide. Era popolata da molte razze, su cui predominava quella bianca e, dodicimila anni prima, era stato sommerso da un gigantesco maremoto, per finire inghiottito dalle acque del Pacifico. Una storia che non si discosta molto da quella di Atlantide, anche se la sua origine è molto più recente. Ad ipotizzare l'esistenza di un altro continente perduto fu uno zoologo inglese del diciannovesimo secolo, Philip L. Slater, che aveva rilevato alcune analogie nell'evoluzione biologica ed ambientale delle coste dell'Africa, dell'India e della Malesia. Esso avrebbe dovuto trovarsi nell'Oceano Indiano; Slater lo aveva battezzato "Lemuria" perché, tra le specie animali comuni a questi tre territori, c'erano appunto le proscimmie chiamate lemuri. Non era una teoria del tutto campata in aria: infatti ancora oggi i geologi chiamano con questo nome un continente od un subcontinente che potrebbe aver unito l'Africa all'Asia nel periodo Giurassico (da 180 a 130 milioni di anni fa). Non c'è da stupirsi se, nel romantico clima ottocentesco, l'ipotesi dell'esistenza di un’altra terra scomparsa incontrò subito grande successo. Nel 1888 Madame H.P. Blavatsky (v.) scrisse che Lemuria si trovava nel Pacifico, e vi aveva dimorato la terza delle sei razze che (almeno secondo lei) avevano popolato la terra. Anche lei aveva appreso queste informazioni da una biblioteca segreta. Lo scozzese Lewis Spence riprese il discorso affermando che la razza dominante di Lemuria era quella bianca, secondo le teorie razziali in voga in quel momento. James Churchward, autore nel 1920 del bestseller "Mu, il continente perduto", asseriva di aver scoperto la biblioteca segreta dei Naacal, una comunità religiosa mandata da Mu nelle colonie per insegnare le sacre scritture, le religioni, le scienze. Dove si trovi esattamente questa biblioteca, Churchward omette di dirlo; sta di fatto che, decifrando migliaia di tavolette d'argilla, egli ebbe modo di apprendere la storia sconosciuta dei primi abitanti del mondo. "Il giardino dell'Eden non era in Asia, ma in un continente ora sommerso nell'Oceano Pacifico. La storia biblica della creazione, l'epica narrazione dei sette giorni e delle sette notti, non nacque tra le genti del Nilo e della valle dell'Eufrate, ma a Mu, la Madreterra dell'Uomo. Queste mie affermazioni trovano riscontro nelle complesse testimonianze che scopersi sia sulle dimenticate tavole sacre in India, sia su documenti di altri paesi". Churchward popolarizzò poi ulteriormente la vicenda, dando a Lemuria il nome definitivo di Mu.

-Muladhara: Nome del primo Chakra, che sta ad indicare come sta in quel momento la persona rispetto alle sue energie fisiche. Se la persona è contenta di vivere, se è in buona salute, perlomeno se crede d’essere in buon rapporto con il suo corpo, se ha voglia di divertirsi, di giocare. Questo Chakra è normalmente associato alle ghiandole surrenali, agli arti inferiori, alla colonna vertebrale, all’intestino crasso, ai genitali e al sistema nervoso centrale. Le patologie che possono causare il suo funzionamento disarmonico sono: emorroidi, obesità, stipsi, sciatalgia, artrite deformante, anoressia nervosa, gonartrosi, gotta. Rientrano nella sfera della influenza del M. i bisogni primari dell’individuo, relativi alla sopravvivenza. Se c’è un funzionamento eccessivo di questo Chakra, sia i pensieri che le azioni saranno orientati alla soddisfazione ossessiva dei bisogni materiali e della sicurezza personale; si vorrà possedere tutto ciò che si desidera, mentre sarà difficile dare o donare qualcosa. Qualora ostacolati, si reagisce con aggressività, collera, violenza, sentimenti o modalità che esprimono un atteggiamento difensivo, legato alla mancanza di fiducia nelle forze vitali ancestrali; in questo atteggiamento c’è sempre la paura di perdere ciò che dà sicurezza e senso di benessere. Se invece vi fosse un’insufficiente funzionalità, si avrà debolezza e scarsa resistenza fisica ed emozionale. Molte cose verranno vissute con eccessiva preoccupazione, anche se molto banali. l’insicurezza esistenziale, nell’accezione più legata agli istinti primordiali, sarà il problema principale, ci si sentirà come se si fosse perso ogni punto d’appoggio. Ogni fatto della vita diventerà insormontabile, perciò si sogneranno condizioni più facili, più piacevoli e meno faticose, generando fughe mentali dalla realtà contingente. Se i Chakra superiori si sono sviluppati maggiormente rispetto agli inferiori, si avrà la sensazione d’essere fuori dal mondo, vivendo profondamente un senso di estraneità e di solitudine assoluta e senza speranza. Se il blocco energetico interessasse anche il terzo Chakra, oltre al primo, ci si potrebbe trovare in presenza d’anoressia. I cibi utili per attivare o riequilibrare il Chakra della base sono le proteine, le carni, noci, fagioli, uova e prodotti caseari. Le Pietre Collegate con Il M. sono: Tormalina Nera, Ossidiana, Ossidiana Fiocco Di Neve, Onice, Ematite, Occhio Di Falco, Granato, Rubino, Corallo e Diaspro Rosso.

Multiplices inter: Enciclica promulgata da papa Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti: 1792-1878), con la quale il 25 settembre 1865 confermava la scomunica ai Massoni, già ribadita nella sua precedente enciclica "Quanta cura" ed annesso Sillabo, emessa l’8 dicembre 1864.

Munda: Popolazioni dell'India orientale, abitanti attualmente nelle giungle e nelle zone montuose del Bibar, del Bengala, del Madras e dell'Orissa. Inizialmente occupavano parte della pianura indo-gangetica, prima dell'invasione degli Ari e dei Dravida (v.). Contano oggi circa sette milioni di individui, ripartiti in diverse tribù: Korku, Kharvar, Horo, Ho, Bumig, Santal, Kharia, Korwa, Asur, Juang, Sora ecc. Prevalentemente cacciatori, usano un tipico bastone piatto da getto simile al boomerang, conservano tracce dell'antica divisione in clan totemici esogamici. Animisti (v:) ma con influssi induisti, adorano divinità naturali, montane e della vegetazione. Cremano i defunti, le cui ceneri seppelliscono sotto particolari dolmen (la tribù Ho), od in monumenti megalitici (tribù Hoto e Bhumi).

Muro del Pianto: Struttura architettonica in blocchi lunga ca. 48 metri, relativa all’ala del recinto sudoccidentale del tempio di Gerusalemme. Viene riferito ad Erode il Grande, anche se non mancano attribuzioni a Salomone. Il nome (ebraico Kotel ha-ma’aravi) deriva dal fatto che il 9 e 10 luglio gli Ebrei vi si recano per pregare, e per piangere la libertà perduta e la distruzione di Gerusalemme, avvenuta sotto l’imperatore Tito nel 70 d.C.

Musica:  Linguaggio o forma d'espressione impiegante suoni strumentali o vocali ordinati sistematicamente. Come il linguaggio parlato, la M. fa parte del patrimonio originario umano, e la sua origine si perde nella preistoria più lontana. Una leggenda greca parla di un semidio che utilizzò un carapace vuoto di tartaruga in cui era rimasto un tendine teso, ne trasse un suono. Con la musicologia, si è giunti recentemente ad ipotizzare l'origine totemica della M. quale imitazione dei suoni animali. Però nel clima pitagorico la M. non si riferiva alla scienza delle armonie sonore, ma alle nove scienze essenziali correlate alle nove Muse. Significativo il fatto che il termine derivi proprio da «Muse», nome a sua volta derivato dal greco mousa, participio presente del verbo maomai, la forma primitiva di maino, esaltarsi, pensare, desiderare e comprendere, ovvero “gioia di conoscere”. Da notare che nel medioevo l'Alchimia, arte esoterica per eccellenza, veniva chiamata Arte della M. Venivano così evidenziati i due aspetti teurgici di quell'Arte, condensati nel motto non esclusivamente benedettino “Ora et Labora”. Infatti tradizionalmente la via interiore aveva (ed ha) almeno la stessa importanza delle attività operative. È per tale ragione che le incisioni dell'Amphitheatrum Sapientiae Aeternae del Khunrath (1610), un classico esempio di iconografia ermetica, rappresentano il laboratorio filosofico. Vi è evidenziato un ampio tavolo ricoperto di strumenti musicali, in genere a sette corde, inequivocabilmente associati all'Armonia, secondo le più classiche regole della Natura (v. Massoni e M., nonché M. Massonica).

Musica Massonica: Fra i supporti ai Lavori massonici, un posto di particolare importanza è occupato dalla musica, quale fattore capace di agevolare la concentrazione e la meditazione, quindi, in ultima analisi, la spiritualità delle Tornate. Vari famosi compositori hanno prodotto musiche rituali massoniche, come il Fratello Jean Sibelius e, più recentemente, Domenico Guaccero, autore nel 1965 di un pregevole Pentalfa per quartetto e tastiera. Tra i monumenti della M. vanno però elencati la Nona Sinfonia di Beethoven, il Flauto magico (v.) di Mozart ed il Messia di Händel (composto su libretto del massone A. Pope). Nella sua opera "250 anni di Massoneria in Italia, a cura di M. Moramarco, Ediz. Bastogi, 1985", A. Basso annota: "È soltanto in tempi recenti che gli studi sulla M. hanno incominciato a prendere una certa consistenza, liberandosi dall’indeterminatezza e dall’eccessiva affezione nei confronti di certi temi ormai scontati. Il periodo storico, di gran lunga più interessante per indagare sui rapporti esistenti fra mondo musicale e Massoneria, è indubbiamente quello compreso tra il 1720 ed il 1830, un’epoca questa che vede gran parte della cultura ufficiale illuminista accostarsi agli ideali dell’Ordine, farli propri ed interpretarli in senso progressista. È soprattutto nei cinquant’anni a cavallo fra i due secoli che si registrano le manifestazioni più importanti, la decantazione di premesse sollevate intorno alla metà del ‘700, quando le organizzazioni massoniche si erano ormai diffuse in tutta l’Europa". È opportuno mettere l’accento sulla massiccia produzione di M. da parte del Fratello Wolgang Amadeus Mozart, che in tutte le circa 250 opere composte dopo la sua associazione all’Ordine Massonico (gennaio 1785) ha incluso un chiaro e perentorio accento rituale. La sua composizione di ispirazione massonica inizia con i due adagi per fiati K410 (per due corni di bassetto e fagotto) e K411 (per due clarinetti e tre corni di bassetto), per terminare con le sue ultime opere: Laut verkünde unsre Freude (Annuncia ad alta voce la nostra gioia) una cantata in do maggiore per tenore, basso, coro maschile ed orchestra n° K623, e Laßt uns mit geschlungen Händen (Prendiamoci per mano) cantata in fa maggiore per coro maschile ed organo n° K623a, diventata poi inno nazionale austriaco. Quest'ultima opera veniva eseguita quando i massoni, alla chiusura dei Lavori, intrecciando le mani nella Catena d'unione voluta dai rituali, intonavano un breve canto di gioiosa fraternità. L'addio che Mozart fece cantare ai suoi Fratelli, indirizzato a tutti quanti amava, parla d'amore, di lavoro, di futuro, per concludersi con la parola "Luce". Ecco una traduzione a senso del testo, illustrante appieno espressioni e sentimenti compresi nel sublime messaggio originale tedesco: "Fratelli, prendiamoci per mano alla fine di questo Lavoro, con il sonoro fulgore della nostra gioia. Come questo luogo sacro, la nostra Catena racchiuda l'intero globo terracqueo. Con i nostri allegri canti rendiamo grazie al Creatore Onnipotente. La consacrazione è avvenuta, dunque deve terminare il lavoro, al quale abbiamo dedicato i nostri cuori. Sia sempre per ognuno di noi primo dovere il venerare la Virtù e l'Umanità, l'apprendere ed il praticare l'Amore per il prossimo. Sarà allora che da Oriente ad Occidente, dal Settentrione al Mezzogiorno, sull'essere umano brillerà la Luce". Occorre infine ribadire che il suo toccante e misterioso Requiem, iniziato pochi giorni prima della morte, fu volutamente lasciato incompiuto da M., rivelandosi luminoso simbolo di come il più grande genio della storia musicale avesse veramente fatto propria la profonda essenza del messaggio massonico.

Musulmani: Nome derivato dall'arabo-persiano mulsim, plurale musliman, aderente all'Islam (v.). Viene appunto usato per indicare l'insieme dei popoli che seguono la dottrina dell'Islam.

Mut: Nell'antico Egitto la dea M. è simboleggiata da un avvoltoio bianco, ed è sempre stata l'emblema del meridione, di cui è neter protettore. È il rapace che si nutre di cadaveri e trae nuova vita dalla materia in decomposizione. Insieme ad Amon e Khonsu , ella compone la triade di Karnak. Possiede un tempio posto a sud della cinta di Amon, incastonato in un lago a forma di falce di luna crescente: l'Icheru. È qui che diventa Sekhmet la nera, la bruciante che decompone nelle acque il germe vitale, affinché l'esistenza si elevi ad un piano superiore. Nella lingua geroglifa la parola M. designa, oltre alla dea avvoltoio, anche la madre e la morte. IL suo colore giallo allude all'alba dorata della rinascita, che spunta dopo la morte. Facendo morire alla vita profana, M. apre le porte della vita spirituale. "Che egli resti nel tempio di Mut, signora dell'Icheru, e riceva le offerte che si accumulano alla presenza di questa grande dea" (da un'iscrizione su una statua di Senmut, 'colui che vive in fraternità con Mut').

Mutaziliti: Termine derivato dall’arabo al-mu’tazila, quelli che si allontanano, dissidenti, con il quale si identificano i seguaci di una setta islamica sorta all’inizio dell’VIII secolo. Intervenuti nella diatriba teologica riguardante la posizione del musulmano nel peccato capitale, i M. optarono per una definizione neutrale (i’tizal): chiamato fasiq (colpevole),.il peccatore credente possederebbe la libertà di scegliere tra i due stati giuridici opposti di fedele e di infedele. I principi del mu’tazilismo sono cinque: · 1) unità di Dio e sua giustizia (al-‘adl wa’t-tauhid): Dio è sciente per sua essenza e non per coesistente attributo di scienza, cioè è sciente per una scienza identica alla sua essenza; · 2) dalla giustizia di Dio consegue la fede nel libero arbitrio e nella remunerazione da parte di Dio secondo i veri meriti dell’uomo, che è quindi padrone dei propri atti; · 3) verità delle promesse e delle minacce di Dio riguardo la vita futura (al-wa’d wa’l-wa’id): alla pena eterna sarebbe soggetto anche il musulmano morto senza pentirsi; · 4) l’accennato concetto di fasiq, cioè del musulmano colpevole di peccato capitale (al-manzila haina al-manzilatain), una posizione intermedia tra i due stati di fedele ed infedele; · 5) promozione del bene ed ostacolamento del male (al-amr bil-ma’ruf wa’n-naby ‘an al-munkar), perseguiti con spirito ascetico e missionario. Tra i corollari dei cinque principi, il più importante è quello riguardante la creazione del Corano: i M. ritengono impossibile la coeternità di esso con Dio. Il mu’tazilismo incontrò il favore di alcuni califfi ‘abbasidi nella prima metà del IX secolo, e fu addirittura dogma di stato nel periodo 827-849. Più recentemente si è affermato un neo-mu’tazilismo, che rappresenta un tentativo di conciliazione tra l’Islam e la civiltà occidentale.