Mito: Termine filosofico e religioso, derivato da mudoz, favola, racconto, leggenda, con cui si indica l’enunciazione in forme irrazionali e fantasiose di determinate verità morali, storiche, sociali e religiose. In senso religioso il M. e un racconto favoloso di avvenimenti od avventure che hanno come protagonisti personaggi divini, semidivini o sovrumani. Tale contenuto distingue il M. dalla saga e dalla semplice favola. Il M. non è mai opera di in individuo, ma di una collettività umana o di una società. In esso si esprimono le tradizioni culturali, il patrimonio spirituale e religioso della comunità, ed esiste solo nella tradizione vivente di questa. Spesso non è che la narrazione rituale delle origini e delle leggi di una tribù. Determinante è il problema dell’interpretazione del M., in quanto si distinguono in: · Interpretazioni filosofiche, giù in auge nell’antichità (Varrone), che spiegano i M. in base al significato etimologico dei nomi che in essi appaiono, o che studiano le connessioni tra le mitologie di uno stesso ceppo linguistico (Müller); · Interpretazioni storiche, che cercano di individuare dietro la veste favolosa l’enunciazione e la testimonianza di determinati eventi storici, sedimentati nella tradizione (fondazioni di città, migrazioni di popoli, ecc.). Già usato dagli storici antichi, ed in particolare da Erodoto, da Polibio, e dai Padri della Chiesa, tale metodo venne teorizzato dalla scuola di K.O. Müller, e divenne corrente nell’Ottocento; · Interpretazione naturalistica, che legge dietro i personaggi e le figure del M. i simboli di elementi naturali e di eventi fisici. Quest’ultima è la tendenza adottata dalla moderna scienza delle religioni, ed è chiaramente ispirata allo scientismo positivistico. Per il Petazzoni ad esempio, il M. sarebbe l’espressione favolosa di concezioni cosmologiche prescientifiche. Queste interpretazioni hanno originato diverse classificazioni dei M. in base sia al contenuto che al significato. Vengono così distinti: · M. teoretici, che descrivono l’origine degli dei (v. Teogonia) o degli uomini (Antropogonia), oppure danno ragione dei diversi fenomeni astronomici e naturali (così in Oriente il ciclo delle stagioni viene rappresentato dal dio che muore e risorge); · M. storici, che contengono un nucleo di verità storica (come la fondazione di Roma); · M. etiologici, che spiegano le origini di un rito (M. culturali), · il perché di una figurazione (M. iconici), · o l’etimologia di un nome (M.M. etimologici). Più filosoficamente importante è l’interpretazione del M. in rapporto al logos, ovvero al discorso della verità. Si tratta di una problematica che affonda le sue origini nella filosofia greca, confondendosi con le origini stesse della filosofia. Nel periodo della filosofia presocratica, assistiamo ad una critica di tipo razionalistico ed umanistico del M., che da Senofane giunge fino ai Sofisti. Viene criticato l’antropomorfismo dei M. in Omero ed in Esiodo, e viene riconosciuta l’origine umana della mitologia e della religione. Platone opera invece una restaurazione del M. tradizionale, riconoscendone la peculiare funzione filosofica, e mettendo in relazione M. e logos. Il M. assolve una importante funzione logica, in quanto supera l’insufficienza della ragione in rapporto a verità di ordine superiore e pratico, in quanto dotato di potere di suggestione che incanta l’anima e la invita a correre il rischio della fede (Fedone). Tuttavia esso resta ad un grado di conoscenza puramente verosimile nei riguardi di queste verità trascendentali. Il rapporto del M. rispetto al logos è insomma contemporaneamente di superiorità e di inferiorità. La concezione della realtà come mimesi che permea il pensiero dell’ultimo Platone, tende infine a spostare a favore del M. questo rapporto di equilibrio. Nel Timeo il filosofo giunge a presentare la propria visione del mondo come un M. verosimile. Aristotele polemizza con la concezione platonica del M., e lo identifica con la favola, che la scienza deve sfatare seguendo un metodo rigorosamente razionale. Nel Medioevo prevale l’interpretazione allegorica del M., come offuscamento della verità di fede. Bacone resta ancora legato all’interpretazione allegorica, mentre Cartesio, profeta di un nuovo razionalismo, relega il M. tra gli orpelli poetici. Solo con il Vico, e soprattutto con l’idealismo romantico, ritroveremo una rivalutazione filosofica del M: Per il Vico M., poesia e linguaggio sono invenzioni storiche di un’umanità ancora legata ad uno stadio prelogico e fantastico. Il M. non corrisponde alla storia, ma ne è la prima manifestazione. Per Schlegel il M., in quanto manifestazione spontanea, è l’analogo della spontaneità creatrice della natura, e costituisce l’essenza della poesia ingenua degli antichi: la poesia moderna dovrà trovare i suoi miti nella filosofia (idealismo). Suggestioni romantiche rivivono, ma con irrazionalistici e naturalistici, in Nietzsche ed in Rosemberg: il M. diventa espressione dellla volontà di potenza. All’opposto Sorè, che cerca di dare un’interpretazione rivoluzionaria del M. (sciopero generale), in cui vede un’aspirazione collettiva di gruppi e società storiche. La reazione all’irrazionalismo si esprime in una svalutazione del M. come forma di pensiero opposto alla ragione. Per Paci il M. è una falsa forma di fuga di fronte all’angoscia, che viene superata nella dialettica del lavoro. Un ritorno alla posizione platonica è invece riscontrabile in Cassirer, che postula una comune matrice simbolica tra M. e pensiero razionale: il M. è una funzione simbolica che non si conosce come tale; la matrice del M. è il sentimento, comune a M. e religione. Le interpretazioni sociologiche di Durkheim riducono il M. ad una forma prelogica di pensiero, corrispondente ad un livello di fusione animistica con la natura. La società è invece l’origine del M. nelle interpretazioni più recenti di Malinowsky, per il quale il M. è una giustificazione delle origini culturali di un gruppo: come tale non è una forma di pensiero limitata ai primitivi, ma tende a riprodursi nelle varie culture.

Mitologia: Termine di derivazione greca, da mudoz, favola, racconto, e logoz, discorso. Complesso dei miti (v.) di un popolo o di una particolare civiltà, comprendente la M. classica, indiana, nordica, ecc.

Mitomania: Termine corrispondente a fabulazione, indicante un’attività fantastica del soggetto che narra situazioni simulate, nelle quali è, per lo più, protagonista di imprese eccezionali. Tale attività di norma viene attuata spontaneamente, senza alcuna intenzione di ingannare o di stupire l’uditore. La M. può essere interpretata come regressione ad uno stadio infantile nello sviluppo individuale, ed anche quale protezione nei confronti di situazioni frustranti. È infatti normale nei bambini, e talvolta è sintomo di una creatività non comune, che nell’adulto diventa espressione patologica che rifugge dall’impegno quotidiano. È anche tipico sintomo dell’ipomania (o mania di grandezza), dell’isterismo, di molti stati demenziali, e soprattutto della sindrome di Korsakov, provocata dall’abuso di bevande alcooliche.

Mitra: Divinità indoeuropea appartenente al pantheon vedico, denominata anche Mithra (v.).

Mitraismo: v. Mithra.

Moab: Regione montuosa ad Oriente del fiume Giordano, tra il Mar Morto ed il deserto siro-arabico. Abitata dal XIV secolo da tribù semite (v. Moabiti), fu assoggettata dal regno d’Israele (IX-VIII secolo a.C.). Passò poi all’impero assiro, e divenne provincia babilonese al tempo di Nabucodonosor. Conobbe un tempo di prosperità nel periodo ellenistico-romano. In seguito entrò a far parte del regno arabo dei Nabatei. Più tardi ancora costituì la provincia romana di Arabia. Oggi fa parte della Giordania.

Moabiti: Antica popolazione della Cananea, ad oriente del mar Morto. Secondo la Bibbia, erano discendenti di Lot, nipote di Abramo (Genesi 19, 30-37). Verso la metà del XIV secolo a.C. i M. occuparono la regione di Moab (v.). Successivamente combatterono contro gli Egiziani, gli Israeliti, gli Assiri ed i Babilonesi. La Bibbia racconta l’episodio del loro re Balak e dell’indovino Balaam, che vollero opporsi inutilmente agli Israeliti (Numeri 22, 24), e le guerre del re Mesa. Di religione politeistica, adoravano il dio Kemos (Numeri 21, 25), cui offrivano anche sacrifici umani 2 Re 3, 27). Documentato dalla stele di mesa (IX secolo a.C.), il moabitico appartiene alle lingue semitiche del gruppo cananeo, e presenta evidenti affinità con l’ebraico biblico, mentre per taluni aspetti lessicali si avvicina al fenicio.

Modalismo: Nome attribuito ad un’eresia antitrinitaria del II secolo, originata in Asia Minore da Noeto e diffusa poi in Africa ed in Italia da Prassea nel III secolo. I suoi seguaci ritenevano che in Dio ci fosse una sola persona indivisibile (Monade, v.), e che i gli appellativi di Padre, Figlio e Spirito Santo servissero soltanto ad indicare diverse manifestazioni o modi (di qui il nome della setta) della sostanza divina: in quanto creatore del mondo è Verbo, in quanto si rivela nell’Antico Testamento è Padre, nell’incarnazione è Figlio, e come santificatore è Spirito Santo. Questo a differenza della dottrina della Chiesa, per la quale le tre Persone della Trinità sono uguali e distinte. La dottrina viene anche denominata Patripassionismo, o Monarchismo, od ancora Sabellianismo, dal nome del religioso libico Sabellio, che favorì la diffusione a Roma della dottrina tra il 210 ed il 240 ca.

Modernismo: Movimento di pensiero e di riforma della chiesa cattolica sorto in Francia tra la fine del XIX ed i primi del XX secolo. Esso si proponeva di rinnovare la cultura cattolica, rimasta estranea al metodo critico delle scienze e della filosofia moderna, sostituendo le vecchia dottrina scolastica con le nuove idee filosofiche. Il nuovo spirito modernista si applicò all’interpretazione della storia della Chiesa e dei testi biblici col Duchesne ed il Loisy, influenzati dalla esegesi protestante. In campo filosofico si segnalarono il Denis e soprattutto l’abate Laberthonnière, che si ispirarono alla filosofia dell’azione di Blondel. Il movimento venne alla ribalta in modo polemico, con la pubblicazione de L’Evangile et l’Eglise (1902) del Loisy, che suscitò grande scalpore nel mondo cattolico, in quanto sembrava negare il senso tradizionale della divinità di Cristo e della Chiesa. Il movimento, che si era raccolto intorno al "Bulletin Critique" fondato da duchesne, venne perseguitato dalla gerarchia cattolica, fino alla condanna ufficiale del 1907 da parte del papa Pio X (enciclica Pascendi). Abbandonando i principi tradizionali ed il concetto di ragione di tipo tomististico, il M. applica alla fede il metodo dell’immanenza, che interpreta la religione nei termini di un bisogno inconscio (bisogno dell’inconoscibile) che viene fatto emergere da un impulso pratico sentimentale. Il dogma (v.) non è altro che la funzione chiarificatrice esercitata dall’intelletto sul dato di fede, in accordo con il sentimento religioso. L’evoluzione del sentimento religioso giustifica l’evoluzione del dogma.

Mondo Astrale: Il moderno esoterismo definisce M.A. la dimensione intermedia, posta tra il Mondo Fisico (v.) ed il Mondo Etereo (v.). Lo si considera abitato dai corpi astrali, ovvero dalle entità che, con la morte, hanno lasciato la dimensione materiale. Vi predominano vari fenomeni peculiari, tra i quali la forma pensiero (applicabile sia alle cose che ai luoghi pensati) e le caratteristiche caratteriali individuali. Vi sono escluse soltanto le sembianze, nel M.A. inesistenti. Il tempo rappresenta una misura che, come lo spazio, è qui priva d’ogni senso. Il periodo di permanenza in questa dimensione dipende esclusivamente dal libero arbitrio personale, ma può dirsi compreso tra l’istante ed i secoli nostri. Dipende esclusivamente da quanto impiega ogni individuo per diventare pienamente consapevole dei motivi di causa-effetto di cui è stato protagonista nell’ultima esistenza fisica. Quando questa sorta di lezione viene compresa con difficoltà dilatorie, ciascun corpo astrale diventa una cosiddetta "larva". Conseguita la consapevolezza della propria evoluzione, il corpo astrale si avvia rapidamente verso il tunnel che conduce alla Luce, ovvero verso il Mondo Etereo. (v. Purgatorio, Corpo astrale, Morte e Uomo).

Mondo Etereo: Il moderno esoterismo definisce così la dimensione spirituale, meta finale di ogni spirito. Esso si presenta ripartito in almeno nove sezioni, destinate ai diversi livelli evolutivi. I grandi veggenti lo dichiarano illuminato di una luce soprannaturale, incomparabile con la consueta scala scientifica cui si è avvezzi, in cui predomina la visione del Creatore. Nella Sua essenza vengono assorbite le energie costituite dai singoli spiriti, allorché hanno raggiunto il culmine della perfettibilità stabilita nel quadro del mosaico universale del Creato (v. Paradiso, Corpo etereo, Morte e Uomo).

Mondo Fisico: Il moderno esoterismo definisce così la dimensione delle immagini illusorie, l’unico luogo in cui è possibile vivere l’esperienza che consente il progresso del livello evolutivo di ogni creatura. Vi si accede allorché l’individuo, nella condizione eterea in cui si trova, decide di migliorare la propria condizione spirituale, arricchendo la propria coscienza. Egli diventa così candidato ad un’ulteriore esistenza. Quando si presentano le condizioni psico-fisiche necessarie a consentire al candidato di raggiungere le finalità auspicate (condizioni astrologiche, ambientali, mentali delle persone con cui si sarà in contatto, ecc.) le entità superiori preposte a tale compito consentono l’introduzione dello spirito nell’uovo che sta per essere fecondato. Ha così inizio una nuova vita nel M.F., in pieno accordo con i dettagli causali (mai casuali) del mosaico evolutivo universale del Creato intero (v. Inferno, Corpo Fisico, Morte e Uomo).

Mohai: Denominazione indigena delle enorme teste in pietra costruite intorno all’anno 1000 nell’Isola di Pasqua (v.), l’Easter Island (Rapa Nui, Ombelico del mondo) con il calcare proveniente dall’unico modesto monte esistente, il Ranu Raraku. Recenti ricerche hanno appurato che tutte le monumentali teste disseminate nell’isola, dette anche Moai, venivano scolpite direttamente su tale monte, e poi trasportate ed erette nel luogo prescelto. Esistono fondamentalmente tre diversi tipi di M. che si presentano prevalentemente in gruppi da tre a nove elementi: le Ahi Akivi, i M. perfettamente allineati e posati direttamente sul terreno; le Ahu Tahai, simili ai precedenti ma sistemati su ampie piattaforme in muro a secco; le Aku Naunau, in forma stilizzata, dove ogni testa è sovrastata da una specie di copricapo cilindrico o tronco conico. Restano avvolte nel mistero, e pertanto oggetto delle più disparate e fantasiose congetture di studiosi ed archeologi, sia che cosa rappresentassero nella cultura indigena, sia la loro destinazione come oggetto di probabile culto, sia il metodo di trasporto e di erezione adottato, vista l’epoca della loro origine nonché l’assenza totale di vegetazione, e quindi anche di tronchi d’albero su cui far eventualmente rotolare i pesantissimi manufatti per poi posizionarli con precisione in posizione verticale. L’assenza di vegetazione d’alto fusto potrebbe essere conseguenza del disboscamento totale operato dagli indigeni nell’intera isola, un fatto che purtroppo ha reso del tutto inabitabile il luogo.

-Moloch: Divinità cananea, cui venivano sacrificate vittime umane nella valle del Hinnom (Geenna), nei pressi di Gerusalemme. Gli Ammoniti gli sacrificavano i loro bimbi, gettandoli nel fuoco che mantenevano sempre acceso in suo onore. Si trattava di un culto solare, tanto che Babilonia gli dedicò il Tempio del Sole di Sippara, mentre i Greci ne derivarono Kronos (v.), divoratore dei suoi figli e del tempo, padre di Zeus, così descritto da Diodoro Siculo (XX, 14): "I Cartaginesi avevano una statua bronzea di Kronos, con le mani tese e piegate verso terra, con la palma volta in alto, di modo che il fanciullo che vi veniva posato sopra rotolava, precipitando in un baratro pieno di fuoco". Sono numerosi i passi che nella Bibbia denunciano le fortune del culto di M., che raggiunse il massimo della sua diffusione tra la fine dell'VIII e l'inizio del VI secolo a.C., anche presso gli Ebrei (2 Re 16, 3 - 21, 6 - 23, 10; Levitico 18, 21 - 20, 2; Geremia 7, 31-32, 32, 35. Il suo aspetto raccapricciante ne ha fatto attribuire il nome ad un rettile squamato (Moloch Horridus), insettivoro, di piccole dimensioni (di ca. 20 cm. di lunghezza) che vive nei deserti dell'Australia.

Monachesimo: Termine derivato dal greco monacoz, colui che vive da solo, proprio del cristianesimo, che indica una forma di vita ascetica e religiosa solitaria, estendendosi fino a comprendere quella comunitaria, nella quale la prima si è spesso evoluta; ma con altri nomi. Il M. è fenomeno anche di altre religioni a carattere salvifico, anteriori e posteriori al cristianesimo. In generale la nascita e l’essenza del M. risiedono in una ricerca di santità e perfezione individuali, mediante pratiche ascetiche, di cui la fondamentale e caratterizzante è l’isolamento da un ambiente, culturale, storico o religioso, giudicato come ostacolo, più o meno radicale, al processo di purificazione. Y (M. cristiano): come forma perfetta dell’ideale evangelico, l’ascesi (povertà, digiuno, astinenza e soprattutto verginità) fu praticata fin dalle origini da quanti aspiravano a quell’ideale, ma l’istituzione della vita eremitica e monastica risale al III-IV secolo, quando si sentì come imprescindibile la volontà di mantenere vivo, in una Chiesa ormai necessariamente implicata con la cultura secolare, il fondamentale distacco dal mondo proprio del cristianesimo. All’ascetismo nel mondo si sostituì allora la vita ascetica lontana dagli uomini, l’Anacoretismo (v.), che ebbe la sua culla nei deserti egiziani. È noto dalle Vitae patrum, le biografie e le sentenze dei santi monaci, ed i suoi più cospicui rappresentanti furono Sant’Antonio, la cui vita fu descritta da Sant’Anastasio, Macario il Grande ed Evagrio Pontico. Al Cenobitismo, ovvero ad una vita in comune governata da una regola che desse ordine più sistematico alle norme emerse dall’esperienza anacoretica, provvide San Pacomio, che verso il 320 fondò un monastero a Tabennis, sul Nilo, e portò presto a nove i monasteri maschili ed a due quelli femminili. La sua regola fu assai importante, anche per gli influssi sul M. occidentale. Uguali sviluppi ebbe il M. in Palestina (Santi Barione, Caritone, Epifanio, Girolamo e Paola), in Siria (i Figli del Patto, gli Anacoreti, i Santi Giacomo di Nisidi, Efrem e Nimo), in Persia ed in Armenia, ove il M. ebbe tuttavia come fonte principale San Basilio (330-379 ca.). Questi fu il grande ordinatore del M. orientale: le sue Regulae trovarono subito diffusione in tutto l’Oriente, ove sono tutt’oggi fondamento della vita monastica ortodossa e cattolica, ed anche in Occidente, ove influenzò persino la regola benedettina, e conobbe notevole diffusione in monasteri meridionali, dopo la fuga di monaci greci a causa delle invasioni persiana ed araba, e della lotta per le immagini (v. iconoclastia). Dopo San Basilio, ebbe grande importanza, come riformatore ed integratore della regola, San Teodoro (VIII-IX secolo), detto Studita dal celebre monastero di Studion in Costantinopoli. In Oriente fiorirono altre forme di M., come quelle degli Stiliti, dei Rinchiusi, dei Pabulatores, dei Sarabaiti, dei monaci girovaghi. In Occidente il M. cenobitico si diffuse ben presto, fin dal IV secolo, in seguito all’influsso dell’esperienza orientale, che si fece sentire come determinante soprattutto nella fase prebenedettina. In Italia la vita ascetica in comune ricevette forte impulso a Roma, ove nel 341 giunse Sant’Atanasio, e dove nel V-VI secolo si contavano già sedici monasteri, a Vercelli (Sant’Eusebio), a Milano (Sant’Ambrogio) ed in altre località. In Gallia ebbero importanza San Martino di Tours (monastero di Marmoutier), Sant’Onorato (monastero di Lerins) e Giovanni Cassiano (monastero di San Vittore di Marsiglia), autore di opere ascetiche molto lette nel Medioevo. In Africa Sant’Agostino (v.), monaco prima di diventare vescovo, promosse la vita in comune tra i chierici, e lasciò delle direttive monastiche che sono tuttora la base di diverse istituzioni ecclesiastiche: Altro nome notevole del M. africano fu Fulgenzio di Ruspe. Pullulante di monasteri fu l’Inghilterra, a partire dal V secolo, e più ancora l’Irlanda, ove il M. si identificò praticamente con la stessa organizzazione ecclesiastica e civile. Famoso fra tutti il monastero irlandese di Bangor, donde nel 590 i Santi Colombano e Gallo partirono verso l’Europa continentale, ove diedero origine tra gli altri ai monasteri di Luxeil, San Gallo e Bobbio. Ma nel VI secolo alla mancanza di una regola occidentale, a cui si era sopperito con le regole orientali o con quelle occidentali ad esse ispirate (di Agostino, Onorato, Cesario e soprattutto Cassiano), od infine con l’iniziativa personale dei singoli abati, provvide San Benedetto. La sua regola, costruita per l’Occidente con rare doti di equilibrio, e forte dell’esperienza orientale, si diffuse in pratica in tutto l’Occidente, favorite dall’autorità ecclesiastica, in primo luogo da San Gregorio Magno, e soppiantò nella grande maggioranza dei monasteri le regole precedenti, ed anche quella posteriore di San Colombano. Secondo fondatore del M. benedettino può considerarsi il riformatore San Benedetto di Aniane (m. 821), che provvide a frenare il processo di secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Altra riforma importante del M. benedettino fu quella poi avviata nel X secolo a Cluny, affiancata da altre meno estese (Brogne, Gorze, San Benigno di Digione, Cava ed Hirsau). Successive riforme furono quelle dell’XI secolo: Camaldolesi, Vallombrosani, Certosini e Cisterciensi, cui nel XIII secolo seguirono i Silvestrini e nel XIV secolo gli Olivetani, che assunsero tutti fisionomie proprie e particolari. Y (M. indiano): Tra le forme monastiche non cristiane, merita speciale considerazione quella indiana, che si diffuse in tutta la zona NE dell’Asia fino alla Mongolia ed al Giappone, dove influenzò e si fuse con religioni e culture locali anteriori. Le sette o scuole, assai numerose, ebbero linee di sviluppo diverse, ma tutte furono accomunate dal costante rifiuto del mondo, e dall’accettazione di una regola nonché da una pratica ascetica di vita. Nell’India antica il M. fu una reazione all’evoluzione vagamente ritualistica del sacerdozio brahmanico, e manifestò insieme il desiderio di recuperare spazi liberi come simbolo di una realtà al di fuori della cultura. I monaci, che venivano definiti uomini delle selve, conducevano una vita eremitica, talvolta pellegrinante, quasi sempre solitaria o temporaneamente associata, come nella convivenza con un maestro (guru), ed occasionalmente con condiscepoli agli inizi della vita monastica stessa, o durante periodi stabiliti per la pratica comunitaria di particolari tecniche salvifiche (yoga). I nomi attribuiti al monaco ne indicano le qualità tipiche: "quello che ha rinunciato, che domina le passioni, che ha dato via gli averi, che si è consacrato, mendicante", ecc. Una linea di sviluppo più stabilmente cenobitica fu invece caratteristica del giainismo (v.) e del buddhismo (v.). Nell’ambito di quest’ultimo i monaci itineranti, dal IV secolo più o meno unificati, nell’indirizzo prevalente della dottrina Hinayana, portarono il buddhismo fino alla Cina ed al Giappone dove, misto ad elementi di religione locale, diede origine al taoismo ed allo zen, con i loro tipi di vita monastica conventuale aperta alla esigenze di vita ascetica solitaria. Accanto a quelli nominati, va notata in India la presenza dei monaci Sikh, organizzati in sette di tipo gerarchico militare con forti influssi del M. islamico. Y (M. ebraico e giudaico): I testi sacri sono tendenzialmente contrari a forme ascetiche, considerato che il corpo umano è immagine di Dio, cosicché le prime pratiche ascetiche (naziret) ebbero soprattutto carattere magico propiziatorio. La prima vera forma di M. risale agli Esseni (v.) ed ai Qumraniti (v. Qumran), che si separarono dall’Ebraismo (v.) ufficiale per ritirarsi a vivere nel deserto, da soli od in comunità. Si sviluppò poi, includendo elementi di filosofia greca (p. es. la condanna del corpo come carcere dello spirito), nel Giudaismo alessandrino di Filone, con la ricerca della solitudine per soddisfare le prevalenti esigenze contemplative (v. Terapeuti). In era maccabaica gli Hasidim intesero applicare integralmente la Legge, e praticarono una severa ascesi, ma senza precludersi la vita coniugale. Dal Medioevo in poi nel M. giudaico entrarono progressivamente motivi del M. cristiano, a cui va ricondotta l’accettazione di quelle forme di penitenza, anche molto rigorosa, che erano state prima rifiutate. Y (M. manicheo): Non privo di tratti buddhisti, cristiani e zoroastriani, rappresentò all’interno della società la casta degli Eletti, tenuta a particolari obblighi, quali la povertà, la verità, l’ossequio alla religione, le pratiche ascetiche, tra le quali il digiuno minimo di 50 giorni l’anno, nessuna cura per il corpo, e preghiera come occupazione principale. Y (M. islamico): Subì grosse influenze da parte del M. cristiano e di quelli orientali. Fu caratterizzato dal nomadismo, pur non essendo privo di forme conventuali. A parte manifestazioni non trascurabili nell’Arabia preislamica, esso si impose anche sull’Islamismo come bisogno di rinnovare individualmente (Sufi dal 750 ca.) e poi collettivamente (Dervisci dal XII secolo) le strutture religiose e politiche ufficiali. Notevoli le difficoltà alla sua nascita, dato che il Corano proibisce i rapporti diretti con Dio, e tende a condannare il M. Vi furono praticate ascesi mortificanti, rinunzie, sopportazione dei mali. Allorché fu assorbito dall’ortodossia, il Sufismo si evolse nelle organizzazioni dei Dervisci, provviste di un capo e di tutta una complessa trama di funzionari.

Monade: Termine derivato dal greco monaz e adoz, unità, fu impiegato dai pitagorici con il significato di elemento della realtà minimo ed indivisibile. Fu trattato e sviluppato dalla filosofia rinascimentale, passando poi alle speculazioni di Nicolò Cusano, per il quale la M. è l’unità che rispecchia in sé il mondo. Per Giordano Bruno, che sviluppò tecnicamente il concetto, tutte le cose sono composte di sostanze semplici, o M. Anche per Leibniz, che ne riprende l’esame direttamente da Bruno, la M. è la sostanza semplice, principio ed azione: infatti la sostanza è un "essere capace di azione", e le sostanze composte rimandano alla M. come unità semplice ed indivisibile. Ogni M. è qualitativamente distinta da tutte le altre, e non vi sono nell’universo due M. uguali. Una filosofia monadologica è quella che Kant sviluppa nel periodo precritico. Infine Goethe ed il romanticismo utilizzano spesso il termine M. soprattutto per indicare l’individualità viva ed animata.

Monarchismo: Termine sinonimo di Sibellianismo (v.).

Monergismo: Termine derivato dal greco monoz (solo) e ergon (azione). Dottrina teologica sostenuta da Martin Lutero in opposizione a Melantone, secondo la quale la salvezza dell'anima dipende dalla sola azione di Dio, indipendentemente dalla collaborazione dell'essere umano. Perciò la grazia divina non è soltanto necessaria, ma sufficiente, in rapporto alla volontà umana. La dottrina correttiva opposta è rappresentata dal sinergismo (v.).

Monismo: Termine derivato dal greco monoz (solo); definisce la teoria che riconduce tutti gli esseri ad un’unica sostanza, oppure ad un unico processo. Fu impiegato da Wolff, che contrappone la tesi monista secondo cui nell’universo vi è una sola specie di sostanze (non una sola sostanza), alla tesi dualista, che ne ammette specie qualitativamente diverse. Vi può essere un M. materialistico, che concepisce l’unica sostanza come materia, un M. spiritualistico, che non la concepisce esclusivamente come materia o come spirito, bensì come costituita di innumerevoli attributi (Spinoza), o come identità di entrambi i termini (Schelling). La tesi monista si colora di significato panteistico, in quanto identifica la sostanza sia come Dio che come natura. Il M. panteistico a sua volta può portare sia ad una distinzione dei due termini, sia all’eliminazione di uno di essi: nel primo caso, pur essendovi coincidenza, si ha anche distinzione tra Dio e natura, o nel senso che la natura procede verso Dio o nel senso che Dio è l’anima del mondo, o nel senso che la natura tende a Dio. Nel secondo caso l’identificazione di Dio e natura porta a negare ogni realtà alla seconda, ridotta a mera apparenza od a miraggio malefico (M. acosmico). L’opposto del M. panteistico è il M. ateistico, che esclude il primo termine. Ma anche dottrine non rigidamente monistiche, che ammettono una pluralità di enti, possono rientrare in senso lato nella categoria del M., purché abbiano un’ispirazione monista di fondo. Si intendono qui le teorie che, pur riconoscendo una pluralità di enti, tendono a risolverli nella totalità di cui sono il riflesso: così le monadi di Leibniz, od il molteplice di Hegel. Un’accentuazione monistica dell’idealismo hegeliano si ha ad esempio nel neoidealismo italiano e nordamericano.