Giove: Il dio Zeus (v.) dei greci, il più potente tra gli dei mitologici, soggetto al solo Fato (v.) e capace di far tremare l'intero Olimpo con il solo corrugare delle ciglia, almeno a detta di Omero. Era già in possesso di tutta la sua forza immensa alla tenera età di un anno, e se ne valse per assalire il padre Cronos (Saturno per i latini), spodestarlo e confinarlo nel Tartaro. Si impadronì poi del Cielo e della Terra, assoggettando alla sua autorità tutti gli dei, compresi i suoi fratelli Nettuno, Plutone, Vesta, Cerere e Giunone. Sposò quest'ultima senza però serbarle fedeltà, benché lei spasimasse di gelosia e cercasse inutilmente di ricondurlo a sé, sconvolgendo le sue innumerevoli avventure ch'egli ebbe con le dee Temi, Maia, Dione, Cerere, Eurinome, Mnemosine e Latona. Senza contare che G. riuscì ad impalmare diverse giovani mortali, come Semele, Alcmena, Leda, Danae, Europa ed Io, avendo figli da tutte. Ebbe anche due figli da Giunone, Vulcano ed Ebe. Secondo la mitologia latina G. rappresenta tutti i fenomeni celesti, primo fra tutti la folgore, che scagliava fra il cupo rombo dei tuoni, e la divina forza della vegetazione, insieme con la pratica dell'agricoltura. I vari aspetti assunti dalla sua divinità dominatrice traspaiono dai vari epiteti attribuitigli, come Lucezio (fonte della luce), Folgorante o Fulminante, Pluvio (apportatore di pioggia), Termine (protettore dei confini delle proprietà rurali), Feretrio (padrone delle spoglie opime dedicate a lui) e Statore (legislatore). L'epiteto riassumente tutte le sue attribuzioni era quello di Ottimo Massimo Capitolino, dal grande tempio che gli era dedicato, in comunione con Giunone e Minerva, in Campidoglio. In onore di queste tre divinità furono istituiti dei giochi, denominati Ludi Romani. A G. erano consacrate le idi che cadevano il giorno tredici del mese, ad eccezione di marzo, maggio, luglio ed ottobre, nei quali cadevano il quindici. Era rappresentato maestoso nell'aspetto, con il torso nudo e le spalle possenti, il fulmine impugnato con la destra, lo scettro ed una statuetta della vittoria nella sinistra. Ai suoi piedi posava un'aquila grifagna, che fissava negli occhi il nume. Gli erano consacrate le querce. I libici lo veneravano sotto il nome di G. Ammone, in forma di montone, gli egizi come Serapide, gli assiri come Belo, i persiani come Urano, i galli come Taranis, dli scizii come Pappeo, gli etiopi come Assabino, i cretesi come Asterio, mentre a Menfi era pressoché identificato con Osiride.

Giovine Italia: Organizzazione politica creata da Giuseppe Mazzini, che la costituì a Marsiglia nel 1831. Si rivolgeva alla totalità del popolo, e particolarmente ai giovani, allo scopo di educarli al culto del dovere verso la società e verso la patria. Aveva come simbolo un ramoscello di cipresso, ed ebbe subito un indirizzo d’azione rivoluzionario, unitario, democratico e repubblicano. Nonostante le sue strutture organizzative fossero clandestine, il suo programma era palese e pubblico, in polemica con i metodi adottati dalle sette segrete, e in particolare dalla Carboneria (v.). Gli affiliati erano suddivisi in federati semplici e federati propagatori. Si diffuse rapidamente, specie tra gli intellettuali e gli artigiani dell’Italia settentrionale, assorbendo altre sette democratiche (gli Apofasimeni nel 1832, ed altri). Colpita da persecuzioni, fu praticamente travolta dal fallimento dei moti mazziniani del 1834. Ricostituita nel 1838, si rivelò poco vitale, e venne poi sciolta nel 1848 per dare origine all’Associazione Nazionale Italiana. Il giuramento prestato dai suoi adepti era: "Nel nome di Dio e dell’Italia. Nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana, caduti sotto i colpi della tirannide, straniera e domestica. Pei doveri che mi legano alla terra ove Dio m’ha posto, ed ai fratelli che Dio m’ha dati, per l’amore, innato in ogni uomo, ai luoghi ove nacque mia madre ed ove vivranno i miei figli, per l’odio innato in ogni uomo al male, all’ingiustizia, all’usurpazione ed all’arbitrio, pel rossore ch’io sento in faccia ai cittadini dell’altre nazioni, del non aver nome né diritti di cittadino, né bandiera di nazione, né patria, pel fremito dell’anima mia creata alla libertà, impotente ad esercitarla, creata all’attività nel bene ed impotente a farlo nel silenzio e nell’isolamento della servitù, per la memoria dell’antica potenza, per la coscienza della presente abbiezione, per le lagrime delle donne italiane, pei figli morti sul palco, nelle prigioni, in esilio … io giuro di consacrarmi tutto e per sempre a costituire l’Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera e Repubblicana, ora e per sempre. Così giuro, invocando sulla mia testa l’ira di Dio se io tradissi in tutto od in parte questo mio giuramento".

-Gisors: È il nominativo collegato ad uno storico episodio che ha riguardato i Cavalieri dell’Ordine del Tempio (v.Ordine di Sion, e Olmo di G.). Tale nome è anche collegato ad un castello esistente nella valle dell’Epte, un tipico edificio templare a pianta rotonda, di cui sono rimasti in piedi i muri perimetrali e la torre. Già nel 1857 l’archeologo Gèdèon Dubruil asseriva che da esso si diramavano vasti sotterranei. Ma solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo che un bombardamento nelle vicinanze ebbe scoperchiato parte di un cimitero sotterraneo merovingio, le sue affermazioni trovarono ufficialmente qualche credito. Nel 1962 ritornò famoso grazie all’esoterista e storico Gérard De Sède, con il suo volume Les Templiers sont parmi nous (I Templari sono tra noi), divenuto rapidamente un best-seller e l’oggetto di una controversia che non si è ancora spenta. Il tesoro dell’Ordine del Tempio si troverebbe proprio nel castello di Gisors, e sarebbe facilmente recuperabile. Tuttavia, a seguito di un misterioso complotto, le autorità avrebbero vietato di svolgervi scavi o ricerche di qualunque genere. Il tesoro dei Templari è rimasto un mistero insoluto da quando, nel 1314, l’ordine venne definitivamente distrutto da Filippo il Bello. Secondo la storia, parrebbe che i beni dei Cavalieri Templari, consistente nel contenuto di una trentina di cofani metallici, fossero stati tutti distribuiti tra altri Ordini cavallereschi e la nobiltà francese, ma sono in molti a sostenere che il grosso dei loro tesori si salvò, e giace tuttora nascosto da qualche parte. A Dubruil credeva ciecamente un certo Roger Lhomoy, appassionato cercatore di tesori e giardiniere a Gisors fin dal 1929. Nascostamente, fin dai primi tempi della sua presenza al castello, aveva iniziato la sua ricerca personale, che non aveva interrotto nemmeno quando l’edificio venne occupato dai tedeschi nel 1944. Nel 1946 Lhomoy si presentò al consiglio municipale di Gisors affermando di aver scoperto sotto il dongione della torre una cappella sotterranea "lunga trenta metri, larga nove, alta circa quattro metri e cinquanta". Lungo le sue mura, sostenute da corvi di pietra, si trovavano "la statua di Cristo e dei dodici apostoli"; a terra c’erano "diciannove sarcofagi di pietra lunghi due metri e larghi sessanta centimetri"; inoltre nella cripta erano custoditi "trenta cofani di metallo". Una descrizione simile avrebbe suscitato l’interessamento di chiunque, ma dopo aver dato un’occhiata distratta all’imboccatura della stretta galleria attraverso cui Lhomoy era disceso nel sotterraneo, gli uomini del consiglio municipale se ne andarono senza neppure aver provato a penetrarvi. Pur se trattato come un mitomane, l’ostinato giardiniere non si diede per vinto. Nel 1952 riuscì di nuovo a convincere l’amministrazione a permettergli di proseguire gli scavi. L’autorizzazione fu concessa, ma solo dietro il versamento di una cauzione talmente alta che Lhomoy fu costretto a rinunciare. Grazie ai buoni uffici di Gèrard De Séde, il giardiniere riuscì a esporre il suo caso in televisione, ma nuovamente i responsabili di Gisors rifiutarono ogni autorizzazione. Nel 1962, per ordine del Ministro della Cultura André Malraux, apposero addirittura i sigilli al dongione dove gli scavi avrebbero dovuto aver luogo. Nel 1964, dopo l’uscita di Les Templiers sont parmi nous, Lhomoy ritentò il colpo; alcuni giornalisti discesero lungo il passaggio e lo trovarono chiuso. Lhomoy spiegò che, dopo tutti quegli anni, era necessario ripristinarlo, ma la sua richiesta non fu accolta. Lo scavo fu ricoperto, la cripta dimenticata ed il caso definitivamente chiuso. Per Jean Markale, autore di Gisors et l’Enigme des Templiers, si trattava di un povero mentecatto affetto da manie, e le autorità locali avevano agito correttamente impedendo scavi che avrebbero inutilmente rischiato di compromettere la struttura e la stabilità stessa del castello. Per Gèrard De Séde invece, il giardiniere era vittima di una cospirazione, il cui obiettivo era quello di tenere nascosto agli occhi del mondo un oggetto preziosissimo e sacro: nella cripta di Gisors si sarebbe infatti trovato anche il misterioso Sacro Graal (v.).

Gitopanisad:  v. Bhagavad-gita.

Giubileo: Termine derivato dall’ebraico yöbël, corno del capro, presso gli antichi Ebrei era l’anno consacrato a Dio ed al riposo, da osservarsi ogni 50 anni. Il suo inizio veniva annunciato con il suono del corno, da cui il nome. Secondo Levitico (25) e Numeri (36, 4) nel G. tutte le terre dovevano tornare al primitivo proprietario, e doveva compiersi la remissione dei debiti. Nel Cattolicesimo il termine definisce l’anno in cui si può ricevere dal papa l’indulgenza plenaria. Il primo G. fu decretato da Bonifacio VIII (1300), il secondo da Clemente VI (1349), che lo fissò ogni 50 anni. Dai tempi di Sisto IV (1471-1484) viene celebrato ogni 25 anni.

Giudaismo:  Termine indicante sia la civiltà ebraica nel suo complesso che la religione degli Ebrei a partire dall'esilio babilonese del Vi secolo a.C., la cui dottrina è codificata nella prime parte della Bibbia, denominata Torah (v.). Secondo il Gottlieb (Guida alle Religioni, Ediz. Paoline, 1983), «Diverse sono le immagini che la parola G. può oggi evocare. Per alcuni essa indica essenzialmente una religione, per altri una civiltà od una cultura. Secondo la mentalità di qualcuno si tratta di un sistema filosofico, mentre talvolta la si identifica con un'appartenenza etnica o con un fenomeno nazionale. Se in tutte queste definizioni vi è in elemento di verità, nessuna presa singolarmente appare del tutto soddisfacente, nella misura in cui ognuna lascia spazio ad altre. In ogni caso, volendo riassumere il G. con una parola che abbracci tutte le manifestazioni, si può dire che esso sia essenzialmente una fedeltà. Generalmente si può affermare che la Bibbia costituisca il punto di riferimento fondamentale in rapporto al quale si collocano, più o meno esplicitamente o consapevolmente, gli onesti pensatori di tutte le tendenze del G., nonché quanti vi si riferiscono» (v. Ebraismo).

Giudaizzanti: Seguaci della prima setta eretica nella storia della Chiesa. Essi sostenevano che le leggi ebraiche dell’Antico Testamento v. erano sopravvissute nel Nuovo Testamento (v.). Si opponevano al principio della cattolicità della Chiesa. Pur riconoscendo che Cristo aveva chiesto ai suoi discepoli di andare per il mondo ad insegnare a tutte le genti la sua dottrina, questo non annullava né sminuiva il rispetto dovuto dai credenti alle leggi di Mosé ed a tutte le sue prescrizioni.

Giudeo: Nei libri dell’Antico Testamento (v.) il termine indica un appartenente alla tribù di Giuda. San Paolo invece lo impiega per identificare un membro della nuova comunità cristiana. Nella sua lettera ai Galati (2, 12-13) egli dice: " … Infatti prima che giungessero alcuni venuti da Giacomo, egli mangiava con i Gentili (v.). Ma quando quelli giunsero, si ritraeva ed appartava, per timore dei circoncisi. Ed anche gli altri G. lo seguirono un questa simulazione".

Giudeo-Cristianesimo: Dottrina professata dai seguaci del cristianesimo primitivo, in particolare nell’ambito della comunità di Gerusalemme. I giudeo-cristiani praticavano un cristianesimo ancora rinchiuso nelle strettoie rituali e psicologiche del mosaismo; secondo la loro dottrina, non solo gli Ebrei ma anche i Gentili (v.), per entrare nella comunità cristiana dovevano essere circoncisi. Le teorie giudeo-cristiane, dopo essere state oggetto di discussioni e di controversie all’interno del cristianesimo primitivo (delle quali è traccia nelle epistole paoline ai Galati ed ai Romani, in quella di Giacomo e negli Atti degli Apostoli), vennero condannate nel concilio di Gerusalemme (50 d.C.; Atti degli Apostoli 15, 1-29). Dopo la rivolta del 66, i giudeo-cristiani, che non avevano accettato di rientrare nell’ortodossia, si ritirarono in parte a Pella nella Decapoli ed in parte nella Basanitide ed a Berea (Aleppo). Si riunirono poi verso il 70, per vivere tutti in isolamento materiale e spirituale. Si diedero anche un proprio vangelo, noto come Secundum Hebraeos. Principali derivazioni del G. furono i Nazarei e gli Ebioniti (v.).

Giuditta: Nome della protagonista dell’omonimo libro della Bibbia. G., ricca vedova della città di Betulia, durante l’assedio posto alla città da Oloferne, generale di Nabucodonosor, si reca al campo nemico, vi seduce Oloferne e gli taglia la testa durante il sonno, liberando così la sua città. Il racconto è saturo di anacronismi e riferimenti incomprensibili. Lutero lo considerava alla stregua di un’allegoria. Potrebbe trattarsi di un racconto scritto all’epoca degli Asmonei, per ispirare coraggio ai ribelli, insistendo sul messaggio che Israele è invincibile se resta fedele al suo Dio. Studi storici identificano Oloferne con l’omonimo generale di Artaserse Oco (358-338 a.C.); in questo caso l’azione sarebbe perciò di epoca persiana, come suggeriscono nomi ed altri elementi linguistici. Perduto l’originale ebraico, il testo ci è giunto nella versione greca dei Settanta (v.), nell’antica latina, in quella siriaca (Pescitta) e nella Vulgata, realizzata su testo aramaico. Il personaggio di G. si ritrova, dal Medioevo in poi, dapprima in alcuni poemetti nordici, e poi in drammi di poeti protestanti e cattolici. Fu infine ripreso da musicisti, come Vivaldi (Juditha triumphans - 1730) e von Reznicek (Holofernes - 1923).

Giudizio Universale: Forma di giudizio che, secondo alcune religioni, l’intera umanità dovrà subire alla fine del mondo da parte della divinità. L’Antico Testamento, con l’espressione "il giorno del Signore", annuncia un tempo indeterminato del futuro in cui Dio, tra terremoti, tenebre e catastrofi varie, punirà i malvagi e farà trionfare la giustizia. Vari Profeti annunciarono tale giorno del Signore, provocato dalle colpe morali e dai peccati del popolo d’Israele (Sofonia 1, 14-18; Gioele 3, 4; Isaia 2, 11-20; 13, 5-11; Geremia 25, 31). Previdero però la salvezza di parte dell’umanità, e la realizzazione dell’epoca messianica (Isaia 24, 14-16; 66, 15-24). Daniele parla di resurrezione (12, 2-3), quindi giudizio anche sui defunti. Sembra che il concetto di giorno del Signore esistesse già nella prima epoca profetica (Amos 5, 18-20), forse ricordo di qualche festività così chiamata, come l’anno nuovo. Ma lo sviluppo dell’idea di G. si ebbe nell’epoca del secondo tempio per l’influenza persiana, come si legge negli scritti apocrifi, apocalittici e del Mar Morto (v.). Nel cristianesimo il G. è uno dei dogmi, fondato sul Nuovo Testamento (Matteo 25, 31-46). È concepito come il tempo del ritorno di Cristo (1 Tessalonicesi 5, 2 ss.; 2 Tessalonicesi 2, 2) per giudicare i suoi nemici e far partecipare i fedeli d’ogni tempo alla sua gloria. L’idea di una futura o periodica distruzione del mondo, accompagnata da un G. e seguita dalla rinascita di un mondo nuovo, è comune a diverse religioni. Basta citare · il tedesco "Crepuscolo degli dei"; · il G. che, secondo le dottrine mazdeiche, avrà luogo 3000 anni dopo l’avvento di Zarathustra; · la distruzione del mondo che, secondo il brahmanesimo (v.) il dio Shiva compie ogni 100 anni divini; · l’incendio che, secondo una concezione di origine assiro-babilonese riportata da Seneca, distruggerà tutti i pianeti quando si troveranno riuniti sotto la costellazione del Cancro, ecc. (v. Giudizio, Parusia, Escatologia).

Giudizio: Opinione, parere critico, processo. decisione, sentenza. Facoltà propria delle mente umana di confrontare, paragonare e distinguere situazioni, persone o cose. (GOI) Nel corso della vita, essendo chiamati ad osservare ed a conoscere, vengono impiegate le capacità individuali di paragone e di valutazione. Nel corso di queste operazioni talvolta si celano svariate insidie, alle quali è necessario porre molta attenzione. Si tratta di paragoni e giudizi che interessano scale di valori altrui. Ogni essere vivente ha una propria scala di valori che è irripetibile nella sua interezza, e che non è comunicabile direttamente ad altri mediante descrizioni a parole. Perciò, ogni giudizio che metta in paragone la nostra scala di valori con quella di altri esseri, risulta incompleto e distorto per ragioni di principio. I simboli della squadra e del compasso ci aiutano a superare le insidie di valutazioni superficiali. La squadra, con i suoi bracci a 90°, ci propone un modo di osservazione, che tiene conto di due punti di vista indipendenti fra di loro. Ma è il compasso che ci propone l'apertura della nostra mente, unico mezzo per arrivare a comprendere la scala dei valori degli altri esseri. Per la sua natura iniziatica nessun massone dovrebbe emettere critiche nei confronti del prossimo, e tantomeno giudizio alcuno. Meglio ch'egli pensi sempre al possibile palo infisso nel proprio occhio piuttosto che al pelo insinuatosi nell'occhio altrui. Al riguardo è decisamente eloquente il monito cristiano "non giudicate se non volete essere giudicati". Y (G. Universale) Secondo la teologia cristiana (v. Parusia) indica il ritorno di Cristo allorché sarà sconfitto l'Anticristo, rappresentando l'evento che porrà termine al mondo attuale. Nel vangelo di Marco ne apprendiamo la descrizione attraverso le stesse parole di Cristo: "In quei giorni, dopo questa tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno ed a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli del cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre. State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso". (Marco, 13, 24-33).

Giuliano: Flavio Claudio, detto l’Apostata, imperatore romano (332-363 d.C.). Figlio di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino, fu fatto educare in rispettosa vigilanza da Costanzo II, in Cappadocia, insieme al fratello Gallo, dove i due principi ebbero una pia educazione cristiana. Più tardi, ad Efeso e ad Atene, G. entrò in contatto con quegli ambienti culturali della seconda sofistica, più imbevuti di platonismo e più propensi ad enfatizzare l’antica tradizione greca, quali quello di Libanio e del filosofo Massimo, e si dedicò intensamente a studi letterari, filosofici e mistici. Nel 355 Costanzo, che nel frattempo aveva eliminato quasi tutti gli altri discendenti della famiglia di Costantino, gli diede il titolo di Cesare e lo mandò in Occidente, in Gallia, a risolvere una situazione gravemente compromessa per le scorrerie di Franchi ed Alemanni. Il giovane studioso rivelò un singolare talento militare, ristabilendo la tranquillità. La sua popolarità tra le truppe impensierì Costanzo, che gli diede (360) l’ordine di tornare a Costantinopoli. L’esercito allora si ammutinò, e lo proclamò Augusto: G. accettò l’offerta, dopo molte perplessità, e mosse verso la capitale. Prima però che si venisse ad uno scontro, Costanzo morì (361), e G. restò l’unico Augusto d’Oriente e d’Occidente. Dall’acclamazione in poi l’imperatore professò apertamente una forma di paganesimo, lontano da quello dell’età classica, ma che fondeva insieme teurgia neoplatonica, tradizioni greche e latine, ed il culto solare di Emesa, la religione ufficiale dell’impero ai tempi di Aureliano. Proclamò una tolleranza generale per tutte le religioni, ristabilì e ridotò riccamente i molti templi pagani aboliti o distrutti, favorì i pagani nelle carriere pubbliche, tolse alla Chiesa cristiana tutti i sussidi dello Stato, e si sforzò di organizzare una Chiesa unitaria pagana in tutto l’impero, con i propri vescovi e sacerdoti. Pur non avendo mai perseguitato i cristiani, tali misure gli valsero l’odio di questi, nonché il titolo infamante di Apostata (v.). Notevoli ed efficaci furono anche le sue riforme economiche ed amministrative. Nel 363, per risolvere il problema persiano, G. mosse da Antiochia contro Ctesifonte e, nel corso di una delle battaglie sostenute a nord della capitale nemica, fu ferito mortalmente. L’opera letteraria di G., interamente redatta in greco, è una testimonianza interessante della cultura del IV secolo: comprende lettere, orazioni, una satira filosofica (Misopogon) ed una satira politica (I Cesari). Nell’iconografia, le migliori immagini di G. sono conservate nella monetazione antiochena. Nelle statue del Louvre e di Cluny è raffigurato con barba fluente, diadema ed abito greco, secondo il tipo posteriore alla nomina ad Augusto. Vicino alla tradizione monetale è invece il ritratto di Gerusalemme.

Giunone: Denominazione latina della dea greca Rea. Figlia di Crono e di Rea, sorella e moglie di Giove, è una delle maggiori divinità del greco Olimpo. Viene considerata come la dea che presiedeva alla fedeltà coniugale, anche se la mitologia la rappresenta come la moglie più spensieratamente e volubilmente ingannata. Era venerata come protettrice dei matrimoni e dei parti: il suo epiteto più comune di Giunone lucina era invocato dalle partorienti in travaglio perché proteggesse i neonati, allorché aprivano gli occhi alla luce della vita. Sarebbe stata la terza moglie di Giove, dopo Mèti e Temi. Quando Giove si innamorò di lei, le si sarebbe presentato sotto la forma di cuculo, ma G. l'aveva subito riconosciuto, pretendendo d'essere sposata prima di cedere alle sue istanze amorose. Dopo le nozze fu continuamente tormentata dalla gelosia, peraltro giustificata dalle continue infedeltà del suo augusto consorte, del quale spiava ogni mossa, perseguitandone crudelmente sia le amanti che i figli adulterini. Odiò particolarmente Ercole (v.), che Giove aveva avuto da Alcmena, alla cui culla aveva inviato due serpenti perché lo strozzassero; ma il precoce bambino eroe strozzò loro. Quando G. si convinse di non riuscire a guadagnarsi l'affetto dell'inquieto marito, neanche dopo essersi fatta imprestare il prodigioso cinto di Venere, sconfitta nel suo amor proprio, si ritirò a Samo, dove dimorò per lungo tempo. Per indurla a ritornare da lui, Giove fece circolare la voce per cui avrebbe sposato Platea, la bella figlia di Asopo, ed intanto fece arrivare un carro trionfale che trasportava la sua statua. La gelosa G. la fece a pezzi, ed accortasi che si trattava di uno scherzo del marito per vincere la sua ostinazione, finì per riderne con lui e fare la pace. Gli serbò però rancore, tant'è che quando i Giganti mossero guerra a Giove, parteggiò apertamente per loro. Sconfittili, Giove punì G. facendole incatenare da Vulcano i piedi a due incudini, sospesa per aria, con le mani legate dietro la schiena da una catena d'oro. Durante la guerra di Troia parteggiò animosamente per i Greci, non avendo perdonato a Paride d'averle preferito Venere nella famosa gara di bellezza. Gelosa che Giove avesse concepito Minerva senza il suo naturale concorso, mise al mondo Marte facendosi fecondare da un fiore. In Roma rappresentò come Giove la luce celeste. Le furono consacrate le calende d'ogni mese, nonché l'intero mese di giugno, così chiamato dal suo nome latino (Juno). Era venerata sia sotto il nome di G. pronuba (che conduce la sposa all'altare), sia come G. Regina, protettrice dello Stato romano. Era rappresentata come il prototipo della bellezza matronale, piena di grazia altera e dignitosa, con grandi occhi ed ampia e nobile fronte, sulla quale discendevano, divisi nel mezzo da un'alta scrinatura, i bellissimi capelli increspati, raccolti sulla nuca in spesse trecce. In alcuni dipinti appare con una corona lampeggiante in capo, uno scettro impugnato nella mano destra e sopra un carro tirato da due splendidi pavoni. Accanto, o nella mano sinistra, talvolta figurava una melagrana, simbolo dell'amore matrimoniale e della proleficità. Oltre al pavone, le erano sacri il cuculo e lo sparviero.

Giunta del G.O.I. : La Giunta del Grande Oriente d'Italia è l'Organo collegiale esecutivo ed amministrativo della Comunione Massonica Italiana (Art. 33 della Costituzione dell'Ordine). Per dettagli riguardanti la Giunta vedere le voci: Struttura, Eleggibilità, Sostituzione, Metodi e Competenze (v.).

Giunta: Nome caratteristico di particolari organismi collegiali, soprattutto della pubblica amministrazione. Si chiama G. comunale l’organo collegiale che esercita le funzioni esecutive nel comune, analogamente si parla di G. provinciale per le province e di G. regionale per le regioni. Assume anche il nome di G. un organo particolare della giustizia amministrativa, la G. provinciale Amministrativa (G.P.A.), costituita a livello provinciale fin dal 1888, con funzioni di controllo e consultive nei confronti degli enti autarchici compresi nella sua giurisdizione. Y (Massoneria) L’Istituzione massonica del Grande Oriente d’Italia è centralmente governata dal Gran Maestro coadiuvato da una G. (v.); anche a livello regionale il controllo amministrativo è affidato al Presidente del Collegio Circoscrizionale, che si avvale della collaborazione della G. del Collegio stesso.

Giuramento: Termine che definisce un atto solenne, con il quale di norma si invoca una divinità come testimone della verità di un’asserzione, o come garante dell’adempimento di una promessa (G. promissorio). Il G. è comune a quasi tutte le popolazioni, primitive od evolute, e può essere espresso sia da solo sia in unione con il nome di una particolare divinità. Di norma assume la forma di automaledizione (talvolta estesa all famiglia, alla tribù ed alla comunità): speciali gesti e contatti con oggetti sacri o magici fanno spesso parte integrante del rituale del G. I popoli di religione politeista possiedono spesso una divinità particolare (Signore del G.) che viene chiamata il causa per il G.; spesso si tratta di dei solari o celesti (che vedono tutto), come Shasmash presso i Babilonesi. Gli Hittiti facevano grande uso del G.: il re di Hatti si legava con il G. a vassalli, alleati e confederati; il G. stesso veniva personificato, e si sarebbe vendicato di chi avesse infranto le promesse. Gli antichi Greci giuravano per Zeuz Orcioz (orcoz = G.); i Romani giuravano per Iuppiter Feretrius; tuttavia le Vestali ed il Flamine Diale non potevano giurare. Già gli Esseni evitavano il G.; il Vangelo non lo esclude, ma tende a limitarne l’uso (Matteo 5, 34-37)., mentre nell’Antico Testamento esso è assai frequente, tanto che giura Dio stesso. Nel nostro ordinamento del diritto vigente, il G. più importante è di tipo decisorio (mezzo di prova per il quale in giudizio si dà per accertatala verità di un fatto di cui una parte faccia asserzione con il G.), che viene prestato nella causa civile da una parte su richiesta dell’altra, al fine di accertare la verità di un fatto. Di natura simile è il G. suppletorio, deferito dal giudice per integrare una prova claudicante, ed il G. estimatorio, anch’esso deferito dal giudice per acquisire la prova del valore di una cosa. Di natura analoga è il G. prestato dal testimone o dal perito, con il quale i soggetti in questione preventivamente garantiscono con il G. la veridicità delle circostanze che andranno ad affermare nel corso del processo. La materia è regolata dagli artt. 2736-2739 del C.C. per quanto riguarda il processo civile. Un tipo di G. promissorio sopravvissuto nel nostro ordinamento è quello prestato da soggetti all’atto di assumere funzioni di pubblico interesse (quelle della milizia nelle forze armate, di capo dello Stato, di ministro, ecc.), con il quale il promittente intende fornire solenne garanzia di adempiere le importanti funzioni cui verrà preposto nel pieno rispetto degli obblighi che la legge pone a suo carico. La nostra cultura evidenzia scetticismo sulla efficacia di sanzioni metagiuridiche, cosicché il nostro ordinamento prevede sanzioni specifiche di diritto positivo di particolare gravità per chi giuri il falso (art. 271 del C.P.) o renda false testimonianze o false perizie (artt. 372 e 373 del C.P.). Norme particolari prevedono inoltre gravi sanzioni a carico di chi violi i G. promissori, qualora si tratti di G. richiesti e previsti dalla legge come condizione per l’assunzione delle succitate funzioni di pubblico interesse. Y (Massoneria) Nel corso delle persecuzioni subite dai Massoni italiani da parte delle forze politiche, della magistratura e dei mezzi d’informazione, sulla scia delle indagini sulla Loggia "P2" (v.), il Grande Oriente d’Italia è stato praticamente costretto fin dal 1982 ad eliminare dai suoi rituali (dei tre Gradi, dell’insediamento dei Dignitari di Loggia, ecc.) ogni formula di G., sostituendola con quella della Promessa Solenne. Infatti molti dipendenti pubblici erano stati accusati di subordinare la fedeltà allo Stato ed alle sue Leggi a quella "occulta" Massonica, proprio in virtù del duplice G. prestato (v. anche Ippocrate).

Giurisdizionalismo: Sistema giuridico che stabilisce la preminenza della giurisdizione dello Stato su quella ecclesiastica, e quindi l’ingerenza della giurisdizione civile negli affari della Chiesa. Si afferma tra il XVII ed il XVIII secolo, e prende nomi particolari a seconda delle diverse situazioni: gallicanismo (v.) in Francia, febronianismo e giuseppismo (v.) in Austria, regalismo in Spagna, tanuccismo a Napoli e leopoldismo in Toscana. Si distingue dal cesaropapismo medievale, che sanciva l’assorbimento vero e proprio della Chiesa nello Stato. Nei paesi riformati assunse il nome di territorialismo.

Giuseppismo: Detto anche Giuseppinismo, il termine definisce una particolare politica ecclesiastica seguita da alcuni governanti cattolici del XVIII XIX secolo, e rappresentante il sistema noto come dispotismo illuminato. Fu inaugurato dall’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena il quale, nell’ambito più vasto del Giurisdizionalismo (v.), a partire dal 1781 cercò di eliminare la giurisdizione papale sugli stati asburgici, ponendo sotto il diretto controllo della burocrazia statale anche molte manifestazioni del culto e della liturgia cattolica, come processioni, feste, numero delle messe, ecc. In Austria il G. venne parzialmente ridimensionato dal concordato del 1855.

Giustizia Massonica: Secondo la Costituzione dell’Ordine massonico all’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, si riportano i paragrafi riguardanti la G.: "Funzione della Giustizia Massonica è la tutela dei principi fondamentali, delle finalità e dei metodi della Massoneria Universale" (Art. 62 Co.). "La Giustizia Massonica si ispira a sentimenti di fraternità ed equità" (Art. 63 Co.). "Sono Organi Giurisdizionali: i tribunali di Loggia; i Tribunali Circoscrizionali; la Corte Centrale; la Corte Centrale in sessione Plenaria. Il regolamento dell’Ordine determina la composizione degli Organi Giurisdizionali e lo svolgimento del processo" (Art. 64 Co.). Le competenze dei Tribunali di Loggia: "I Tribunali di Loggia sono competenti a giudicare le azioni costituenti colpa massonica compiute dai Fratelli di Loggia salvo che l’incolpato, per motivo della sua carica o per motivi di connessione, non sia soggetto ad altro giudizio massonico. Il Regolamento dell’Ordine fissa i limiti temporali entro i quali i Tribunali di Loggia debbono concludere il giudizio" (Art. 65 Co.). Le competenze dei Tribunali Circoscrizionali: "I Tribunali Circoscrizionali sono competenti a giudicare in primo grado le azioni costituenti colpa massonica compiuta dai maestri venerabili e dalle Logge della Circoscrizione. Sono altresì competenti a giudicare in primo grado le azioni costituenti colpa massonica compiute dai Fratelli di Loggia ove il Tribunale di Loggia non abbia concluso il giudizio nei limiti temporali fissati dal Regolamento dell’Ordine. I Tribunali Circoscrizionali sono competenti a giudicare in secondo grado delle impugnazioni avverso le sentenze dei Tribunali di Loggia. I Tribunali Circoscrizionali sono altresì competenti a decidere avverso i provvedimenti di depennamento dei fratelli adottati dalle Logge" (Art. 66 Co.). Le competenze della Corte Centrale: "La Corte Centrale è competente a giudicare in primo grado le azioni costituenti colpa massonica compiute dal Gran Maestro, dai membri effettivi di Giunta del Grande Oriente d’Italia e dai componenti della stessa Corte. Giudica inoltre in primo grado le colpe massoniche compiute, in ragione del loro ufficio, dagli ex Gran Maestri, dagli ex Membri effettivi di Giunta del Grande Oriente d’Italia, dai Grandi Maestri Onorari, dai Grandi Architetti Revisori, dai Consiglieri dell’Ordine, dai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali e dagli Ispettori di Loggia. La Corte Centrale è competente a giudicare in secondo grado delle impugnazioni avverso le sentenze di primo grado emesse dai Tribunali Circoscrizionali. La Corte Centrale è competente a giudicare in materia di legittimità delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in grado di appello dia Tribunali Circoscrizionali. La Corte Centrale è altresì competente a decidere sui reclami avverso i provvedimenti di cancellazione delle Logge adottati dalla Giunta del Grande Oriente d’Italia. La Corte Centrale è altresì competente a celebrare i processi di revisione promossi dal Gran Maestro" (Art. 67 Co.). Le competenze della Corte Centrale in sessione Plenaria: "La Corte Centrale riunita in sessione plenaria è competente a giudicare in materia di legittimità delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in grado di appello dalle Sezioni della stessa Corte, ed in secondo ed ultimo grado, di merito e di legittimità, delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in primo grado dalle Sezioni della stessa Corte" (Art. 68 Co.). Sul processo massonico, la difesa dell’imputato prevede: "La contestazione dell’accusa, la costituzione del contraddittorio e l’esercizio della difesa, debbono essere osservati a pena della nullità. La difesa dell’incolpato è gratuita, ed è affidata ad un Fratello Maestro" (Art. 69 Co.). La sospensione: "In ogni stato e grado del processo, l’Organo giudicante può proporre al Gran Maestro, ove questi non vi abbia provveduto, la sospensione da ogni attività massonica del Fratello o della Loggia sottoposti a giudizio. Nel caso previsto dal 1° comma dell’art. 67, la proposta di sospensione va inoltrata alla Gran Loggia" (Art. 70 Co.). La difesa della Loggia incolpata: "Il giudizio nei confronti di una Loggia deve essere esteso anche nei confronti dei singoli Fratelli che abbiano partecipato alle azioni contestate. La Loggia è rappresentata in giudizio dal Maestro Venerabile o, se impedito, da altro Dignitario. La sentenza deve essere pronunciata anche nei confronti dei singoli Fratelli cui resta garantito il diritto alla difesa" (Art. 71 Co.). La sentenza: "La giustizia massonica è amministrata in nome del grande Oriente d’Italia. Le sentenze debbono essere intestate con la formula A\G\D\G\A\D\U\ e, a pena di nullità, motivate e sottoscritte dai Giudici" (Art. 72 Co.).