F.S.K.I.P.F.T.: Lettere incise sul rovescio di due medaglie conservate presso l’Historische Museum di Vienna, su una delle quali è raffigurato Dante Alighieri, e sull’altra Pietro da Pisa. Secondo il Guenon la loro esatta interpretazione sarebbe: "Fidei Sanctae Kadosh Imperialis Principatus Frater Templarius", il che convaliderebbe la tesi secondo cui Dante sarebbe stato uno degli esponenti più elevati della "Santa Fede", un’associazione che era una specie di terz’ordine di filiazione templare. Gli esponenti più insigni di tale istituzione portarono il titolo di Cavaliere Kadosh (v.), tuttora conservato negli alti gradi massonici, in particolare nel 30° Grado del R.S.A.& A (v.), dov’è definito Grande Eletto Cavaliere Kadosh.

Falasha: O falascià, dall’agau falasa, emigrato, ovvero dal ge’ez falasa, emigrare. Nome di una popolazione cuscitica di circa 35.000 persone abitante nella conca del lago Tana, nell’Etiopia settentrionale. Di religione ebraica, i F. parlano la lingua agau, pur usando anche il ge’ez, la lingua sacra degli Abissini, nella quale sono stesi i Precetti di Sabbato e le Preghiere. Fieri oppositori degli Abissini, i F. furono da questi sottomessi nel corso del XVII secolo, e molto parzialmente convertiti al cristianesimo monofisita. Verso il 1975, a seguito di rinnovate persecuzioni abissine, lo Stato d’Israele organizzò un ponte aereo col quale venne attuato l’esodo di oltre 20.000 F., tuttora residenti in Palestina.

Falce: Nome di lama affilata , piegata ad arco e fissata ad un manico. È uno dei più antichi attrezzi usati dall’uomo, essendo nota fin dal VII millennio a.C. presso i Natufiani. Ebbe la sua forma arcuata attuale dopo il III millennio. Nella mitologia classica la F. è simbolo dell’agricoltura, ed è quindi attribuita alle divinità agricole Saturno Silvano e Demetra, ma è anche simbolo del destino e perciò pregevole attributo del Tempo e della Morte. La Massoneria la esibisce con uno scheletro nei suoi Gabinetti di Riflessione, quale simbolo della caducità delle cose terrene.

Fanatici:  Termine derivato dal latino fanatici, a sua volta derivato da fanum, tempio. Presso i Romani designava i seguaci di culti orgiastici  di origine orientale, quali quelli di Madre Bellona e della Gran Madre Cibele. Le loro cerimonie erano caratterizzate da manifestazioni deliranti e frenetiche di esaltazione religiosa, spesso culminanti con i sacerdoti che si ferivano con un'ascia bipenne (v.). Ne deriva il termine fanatismo (v.).

Fanatismo:  Derivato da fanatici (v.), è un termine impiegato a partire dal XVIII secolo a significare esasperata esaltazione religiosa o politica, come pure eccessivo ed irrazionale entusiasmo per un'idea, o cieca fiducia nella validità delle proprie convinzioni, al di fuori dei limiti della ragione umana. Secondo Voltaire, «il F. sta alla superstizione come il delirio sta alla febbre ed il furore alla collera. Colui che va in estasi, od ha delle visioni, e scambia poi i suoi sogni per realtà, oppure che considera le sue fantasie come profezie, è affetto da entusiasmo. Chi invece sostiene questa sua fantasia con un delitto è un succube del F. Vi è un F. a sangue freddo, tipico di quei giudici che condannano a morte quanti si sono macchiati del solo delitto di pensarla diversamente da loro. Tali giudici sono colpevoli e degni dell'esecrazione del genere umano in quanto, non essendo preda di furore omicida, avrebbero dovuto e dovrebbero poter ascoltare la voce della ragione». (Dizionario Filosofico, Ediz. Mondadori, 1974).

Fango: Composto che può essere naturale oppure artificiale, ottenuto per miscelazione di terra con acqua. Se naturale, può essere rosso (per la presenza di sostanze lateritiche), blu (solfuri di ferro e sostanze organiche), organogeno (residui organici), abissale (presente sui fondali oceanici a profondità superiore ai 5000 metri), vulcanico e termale: quest’ultimo sfruttato per varie applicazioni terapeutiche (fangoterapia). Artificialmente viene prodotto miscelando soprattutto polvere di argilla ed acqua, per la produzione delle ceramiche, che vengono plasmate in forme diverse e poi cotte in un forno. Anche a livello popolare, il F. è considerato simbolo di sporcizia, sia materiale che morale. Considerata la sua composizione (Terra + Acqua), ovvero come risultato della combinazione simbolica C + D, entrambi simboli negativi per il vertice puntato verso il basso, alchemicamente il F. è simbolo della materia e, soprattutto, delle basse passioni umane. Massonicamente è simbolo dei metalli, che vanno esclusi dal Tempio, in quanto compromettono, e talvolta impediscono, l’instaurazione della sacralità, ovvero la consacrazione del Tempio stesso. Per Tradizione, molti riti di varie religioni, come pure molte Logge massoniche, hanno adottato le Fumigagioni (v.), ovvero la produzione di Fumo (v.), alchemicamente positivo, in genere di incenso, con il quale si tende ad annullare l’effetto del F., imponendo il Sacro sul profano. Nella Massoneria le Fumigagioni precedono sempre l’Apertura dei Lavori della Loggia.

-Faraone: Termine generalmente usato per indicare un sovrano dell’Antico Egitto. Benché il titolo risalga ad epoca molto remota, divenne di uso comune solo nel I millennio a.C. Durante l’Antico Regno (III-VI dinastia, 2650-2200 a.C.) era comunque riferito al palazzo ed alla corte, non al re. Nel corso della XII dinastia (1991-1778 a.C.) il termine divenne grande casa, pocca vivere in prospertità e salute. Come espressione direttamente riferita a definire il sovrano venne usata per la prima volta in una lettera al re Amenophis IV (Ekhnaton od Akhenaton, v.) della XVIII dinastia (1570-1318 a.C.). Ancora prima della nascita, ancora in grembo alla madre, il F. era considerato il figlio del dio supremo dell’Egitto. Fatto oggetto di complesse formulazioni teologiche tendenti ad accentuare la sua natura divina, il F. era neter nefer, dio perfetto, e neter-o, dio grande. Gli attributi divini lo tengono distinto dagli uomini comuni, e ne fanno l’unico tramite con gli dei; figlio ed erede degli dei, dio egli stesso, egli domina gli elementi, regola la crescita del Nilo, i suoi occhi penetrano in ogni anima, i suoi piani sono perfetti, rende giustizia ed assicura il benessere ai suoi sudditi. A partire dalla XII dinastia invalse l’uso che il sovrano regnante associasse al trono il figlio destinato a succedergli, ad evitare che alla sua morte nascessero faziosità che potessero portare ad atti di usurpazione; l’istituto della co-reggenza non fu tuttavia sufficiente a scongiurare atti violenti, complotti, uccisioni e detronizzazioni. Il protocollo reale prevedeva cinque titoli ed altrettanti nomi, che venivano annunciati dopo l’imposizione delle due corone dell’Alto e del Basso Egitto: il nome Horus, il nome nebti (o le due signore), il nome Horus d’oro, il prenome n-sw-blt (colui che appartiene al giunco ed all’ape), ed il nome proprio preceduto dall’epiteto "figlio di Re". Terminato il complesso cerimoniale, venivano inviati messi ai governatori dei distretti periferici per annunciare loro la nuova titolatura reale, e l’inizio di un nuovo computo degli anni. Infatti ogni F. considerava il giorno della propria incoronazione come l’inizio di una nuova era. Quando il F. moriva, il caos minacciava l’ordine cosmico, che poteva essere ristabilito solo dall’elezione di un nuovo sovrano, che rinnovava la creazione originale e ristabiliva l’armonia della natura. Egli navigava nel firmamento, con il Sole, era erede diretto di Osiride che aveva regnato sulla terra, e si identificava in lui nella morte. I F. potevano sposare solo una principessa di sangue reale; per questo e per conservare la propria dinastia, sposarono spesso la propria sorella o la propria figlia, ma si hanno anche molti casi di matrimoni con principesse straniere e perfino con fanciulle non nobili. Il F. poteva avere anche altre mogli secondarie, e naturalmente molte concubine. Per l’amministrazione degli affari di stato il F. si avvaleva di funzionari, che di solito appartenevano alla sua famiglia od almeno alla nobiltà, ai quali affidava, di volta in volta, compiti specifici. Col tempo venne così formandosi una complessa gerarchia, con cariche che tendevano a divenire ereditarie e perfino negoziabili.

Farisei: Nome del più importante dei partiti giudaici negli ultimi anni prima di Cristo, e nei primissimi anni dopo Cristo. Rivali dei Sadducei, che appoggiavano i conquistatori romani, i F. praticavano un esasperato rigorismo nella pratica religiosa e nella morale quotidiana. Oltre alla concezione teologica implicita nella Bibbia, i F. accoglievano anche le dottrine più tarde, come la resurrezione ed il Regno di Dio. Conciliavano libertà individuale e libero arbitrio, e definivano Dio re e padre. Il Pirke Aboth (Capitolo dei Padri) è un compendio delle loro dottrine.

Faro: Nome di un'isoletta prospiciente ad Alessandria d'Egitto, nella quale Tolomeo II Filadelfo, figlio di Tolomeo Soter, uno dei più abili generali di Alessandro Magno, noto come gran protettore delle arti, fece innalzare una gigantesca lanterna, che servisse da richiamo ai naviganti. La torre che sorreggeva la lanterna aveva un'altezza di 146 piedi (circa 50 metri), e questo le permetteva d'essere scorta a grandissima distanza. Fu così che il nome dell'isola passò a designare comunemente la torre che sorge all'entrata dei porti marittimi. In senso figurato rappresenta la guida luminosa che sprigiona da qualche esempio sublime.

Fata Morgana: Morgan Le Fay (Morgana), personaggio direttamente derivato dalle divinità Morrighan, Macha e Modron (la Grande Madre celtica) compare per la prima volta nella Vita Merlini di Geoffrey di Monmouth. Essa faceva parte di un gruppo di nove fate (a loro volta di tradizione celtica) che vivevano ad Avalon, ed aiutò Artù (v.) a guarire dalle sue mortali ferite. Nelle narrazioni successive M. è la nipote oppure la sorellastra di Re Artù, con cui concepisce Mordred, e assume connotati sempre più negativi, fino a diventare l'implacabile nemica del sovrano, di Merlino (v.) e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Nelle opere tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come una perfida seduttrice, tanto bella quanto malvagia, insomma il prototipo della donna sessuata, la strega aborrita, temuta e perseguitata dalla Chiesa cattolica.

Fatalismo: Concezione del mondo che riferisce la totalità degli eventi ad una causa unica, assolutamente necessaria, che può essere sia inconsapevole che consapevole. Prima e poi accanto ad un F. filosofico, caratterizzante le posizioni dei pre-sofisti greci, si può parlare di F. mitologico e di un F. astrologico. Il primo, precedente diretto di quello filosofico, è proprio dell’antica religione greca (omerica) che riconosce al di sopra degli dei la necessità del Fato (v.), riconducendo in tal modo l’universo all’influenza di un’unica causa. Il F. astrologico consiste nella determinazione del destino del singolo dalla posizione degli astri al momento della sua nascita, avendo una derivazione prettamente orientale. Dai pitagorici ad Anassagora, ad Eraclito ed a Parmepide, tutta la prima fase del pensiero greco si rifà ad una connessione necessaria delle parti del cosmo, mentre Platone ed Aristotele mirano piuttosto alla libertà delle anime ed alla razionalità: questa sarà poi la posizione tenuta dal neoplatonismo (v.) e, per quanto concerne la libertà individuale, sviluppata dal cristianesimo. Il F. ricompare invece con lo stoicismo (v.) greco e romano (Zenone, Crisippo e Seneca) ed anche, in parte, con l’epicureismo (v.). In epoca moderna le dottrine astrologiche rinascimentali si rifanno ad una concezione fatalistica, come successivamente i sistemi di Leibniz (armonia prestabilita) e di Hegel (dialettica necessaria della storia), nonché la teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche, che rimanda esplicitamente ai modelli stoico-eraclitei.

Fato: Considerato il più potente di tutti gli dei dell'Olimpo che gli erano sottomessi, a cominciare proprio da Giove. La mitologia lo ritiene cieco figlio della Notte e del Caos. I cieli, la terra, il mare e gli stessi inferi non avevano potere di mutare quanto F. avesse stabilito. Godeva di un culto particolare, ed aveva i suoi oracoli, ma non gli fu mai eretta una statua. Era raffigurato da un vecchio venerabile ed austero, coronato di stelle, con i piedi appoggiati sul globo della Terra, reggente nelle mani un'urna che racchiudeva le sorti di tutti i mortali. Gli antichi invece lo veneravano sotto il simbolo di una ruota, tenuta ferma ed immobile da una grossa catena. Generalmente veniva anche chiamato Destino. A partire dagli inizi del XVIII secolo la filosofia assegna al F. una correlazione con lo spirito immortale, (legato al tratto di percorso che ciascun essere umano intende coprire nel corso dell'imminente esperienza di reincarnazione, per la conseguente acquisizione di un certo livello evolutivo), mentre al Destino sono unicamente collegate le consequenziali sorti materiali, relative al corpo fisico, interessanti cioè quella sola vita terrena considerata. Il tutto è collegato al principio per cui quanto è positivo materialmente non può che essere negativo spiritualmente, e viceversa. Insomma, se si intende incrementare la propria evoluzione, difficilmente sarà consentita la nascita in un paese molto civilizzato. In un certo senso quindi il termine F. è in opposizione al Destino (v.).

Febronianismo: Dottrina formulata nel XVIII secolo dal giurista e storico Johann Nikolaus von Hontheim (1701-1790), vescovo ausiliare di Treviri, che assunse lo pseudonimo di Justinus Febronius (in italiano Febronio). Nella sua opera "De statu Ecclesiae deque legitima potestate Romani pontificis, liber ad reuniendos dissitenses in religione constitutus" (Dello stato della Chiesa e della legittima podestà del Romano Pontefice), pubblicata nel 1763, espose la rivoluzionaria dottrina ecclesiastica nota come F. Tale dottrina sosteneva la supremazia del potere temporale su quello spirituale, e la supremazia dell’episcopato sul papa, anche nelle questioni di carattere morale e teologico. Il papa avrebbe dovuto rinunciare a tutti i suoi diritti, considerarsi primus inter pares tra i vescovi, conservando quindi soltanto un primato d’onore: Per tali ragioni le chiese nazionali non erano tenute a riconoscere la supremazia della Chiesa di Roma. L’opera fu tempestivamente messa all’indice da papa Clemente XIII nel 1764. Tra le tante repliche edite da parte papale, ricordiamo l’Antifebronio (1767) e l’Antifebronius vindicatus (1771-1772), di F.A. Zaccaria. Il F. fu anche detto Gallicanismo od Episcopalismo (Francia), Regalismo (Spagna), Erasnianismo (Gran Bretagna) e Giuseppinismo (Austria).

Feciali:  Oppure Feziali, derivato dal latino feciales, erano i membri di un antichissimo collegio sacerdotale romano, depositario dello ius feciale, il sacro diritto relativo alla stipulazione di alleanze, alla dichiarazione di guerra e di pace ed agli affari di politica estera. Tale collegio era costituito da venti membri, e la leggenda ne lega la costituzione a Numa Pompilio. In origine i F. agivano in commissioni di due o quattro membri guidati da un pater patratus, e provvedevano a dichiarare la guerra con una cerimonia pubblica. Dopo aver richiesto riparazione al popolo offensore, si recavano sul confine del territorio nemico, infine lanciavano un'asta pronunciando la frase: «Bellum iustum indico facioque», ovvero «giusta guerra dichiaro e faccio». Allorché nel corso del III secolo a.C. i confini romani si trovavano molto distanti dalla capitale, tale cerimonia si svolgeva in Roma, nel tempio di Bellona. Per la stipula di trattati di pace il pater patratus sacrificava un maiale a Giove, invocando la sua ira su chi non avesse rispettato i patti. Comunque queste cerimonie, dagli inizi del IV secolo d.C., assunsero un carattere puramente simbolico, e verso la fine dello stesso secolo il collegio venne definitivamente sciolto.

Fede: Una della virtù teologali della teologia cristiana, unitamente alla Carità (v.) ed alla Speranza (v.). In generale significa una credenza basata non su esperienze empiriche o su conoscenze logicamente dimostrabili, bensì sopra una autorità superiore o comunque esterna. La credenza nei fatti rivelati da Dio è la F. religiosa, che nella teologia cristiana richiede l’intervento della Grazia (v.) divina, per cui è una virtù teologale. Per s. Agostino la F. è il credere a ciò che non si vede. In Hume la F. o Credenza è un tipo di conoscenza non razionale, dipendente dall’abitudine. Per Kant è l’accettazione di ideali (le idee della ragione, ed in particolare i postulati della ragion pratica) non dimostrabili teoreticamente, ma necessari per l’esistenza della legge morale, come le idee di Dio, libertà ed immortalità dell’anima. Y (Massoneria) Il concetto di F. è racchiuso nel simbolo detto "la scala di Giacobbe" (v.), mantenuto in uso dalla Libera Muratoria nella sola tradizione britannica. I gradini di tale scala rappresentano le virtù umane, specialmente la F., la Speranza e la Carità, ovvero l’Amore, unica prova della genuinità della F. Lo scrittore e pensatore massone Oliver, nel 1837 scriveva che "sulla scala gli angeli ascendevano e discendevano in continuazione, per ricevere comunicazioni dall’Altissimo, e per disseminare le loro commissioni eccelse sulla faccia della terra. Una straordinaria coincidenza di tradizione rispetto alla Scala Massonica, esistente in ogni parte del mondo. Tra noi questa pratica si fonda sulla forte base della F., che è il primo gradino della scala poggiante sulla parola di Dio. Essa produca una Speranza ben fondata di condividere le promesse registrate in quel Libro Sacro: e questo è il secondo gradino della scala massonica. Il terzo o gradino più perfetto è la Carità, mediante la quale raggiungiamo la cima della scala, metaforicamente parlando il regno della beatitudine, la dimora del diletto puro e permanente". Secondo il Guenon, "l’asse dell’universo è come una scala sulla quale si effettua un perpetuo movimento ascendente e discendente". Nella Scala di Giacobbe i due montanti verticali corrispondono alla dualità dell’albero della Scienza o, nella Cabala ebraica, alle due colonne esterne dell’albero sefirotico (v.). né l’uno né l’altro è dunque assiale, e la colonna di mezzo, ovvero l’asse vero e proprio, non è raffigurata sensibilmente; ma nel suo complesso la scala è unificata dai pioli che congiungono i due montanti e che, essendo posti tra questi orizzontalmente, hanno necessariamente il loro punto centrale sull’asse. La scala offre così un simbolismo completo: essa è come un ponte verticale che si eleva attraverso tutti i mondi, e permette di percorrerne l’intera gerarchia passando di piolo in piolo; nel contempo i pioli sono i mondi stessi, cioè i diversi livelli o gradi dell’Esistenza universale. Un significato evidente nel simbolismo biblico della scala di Giacobbe, lungo la quale gli angeli salgono e scendono. Gli angeli rappresentano gli stati superiori dell’essere; ad essi corrispondono quindi i pioli, il che si spiega con il fatto che la scala va considerata con la base appoggiata a terra, ovvero per noi, ed il nostro mondo è il supporto a partire dal quale si deve effettuare l’ascensione, ovvero l’evoluzione spirituale. Infine il Mazzini (v.), nel suo "Dal Concilio di Dio" del 1870, sostiene che "noi vediamo negli angeli l’anima dei giusti che vissero nella F. e morirono nella Speranza; nell’angelo custode ed ispiratore l’anima della creatura che più santamente e costantemente ci amò, riamata, sulla terra, ed ebbe per ricompensa la missione e la potenza di vegliare su di noi e giovarci: la scala tra terra e cielo, intravveduta in sogno da Giacobbe, rappresenta per noi la doppia serie ascendente e discendente delle nostre trasformazioni sulla via dell’iniziazione all’Ideale divino, e delle influenze benefiche esercitate su di noi dagli esseri cari che su quella via ci precedono".

Fedeli d’Amore: Società iniziatica medievale che, secondo il Valli, andrebbe inquadrata nella strage degli Albigesi (v.), nonché allo sterminio dei Cavalieri Templari. I suoi adepti tendevano a scardinare il potere temporale dei papi, auspicando l’intervento dell’imperatore per la restaurazione dell’antica potenza imperiale di Roma. Vi sarebbe appartenuto anche Dante Alighieri. L’Alessandrini (I fedeli d’Amore, Ediz. Atanor, Roma) ne parla come di una Carboneria medievale: "Quel che pare impossibile negare è che i F. fossero uniti fra loro in una vasta organizzazione segreta. Troppo chiari e numerosi sono i richiami ai F., come membri di una società iniziatica, perché si possa dubitarne. Qualcosa di molto simile si verificò nel Risorgimento, e questa analogia potrà giovare in qualche misura a determinare la presumibile estensione ed i sostanziali intenti della setta". A proposito di Dante, così scrive A. Pike in Morals and Dogma: "Molti saggi sono stati scritti sulla Divina Commedia, eppure nessuno, per quanto ne sappiamo, ha saputo indicare la vera natura del poema. Il lavoro del grande Ghibellino è una vera dichiarazione di guerra al papato, con un’ardita rivelazione dei Misteri. L’epica dantesca è Giovannita e Gnostica, un’audace applicazione, come quella dell’Apocalisse, delle figure e dei numeri della Qabbalah ai dogmi cristiani, ed una segreta negazione di quanto è dichiaratamente assoluto in quei dogmi. Il suo viaggio attraverso i tre regni del mondo soprannaturale è compiuto proprio come l’iniziazione ai Misteri di Eleusi (v.). Egli si salva dal baratro dell’Inferno, sulla cui porta era scritta la sentenza della disperazione, invertendo la posizione dalla testa ai piedi, ovvero accettando l’esatto contrario del dogma cattolico; quindi ritorna alla luce, usando il demonio stesso come una mostruosa scala. L’Inferno risulta in tal modo invalicabile solo per quanti non sappiano ritornare indietro".

Federati, Società Segreta dei:  Denominazione dei membri della Guardia Nazionale delle sezioni parigine e dei dipartimenti riuniti insieme durante la Rivoluzione francese. Tale definizione venne ripresa durante la Comune di Parigi per indicare i volontari della capitale, che il 13 marzo del 1781 si costituirono nella Federazione repubblicana della Guardia Nazionale. Agli inzi del risorgimento italiano, tale nome veniva assunto da un'associazione segreta a carattere militare, nata in Piemonte nel 1817, e diffusasi subito in Lombardia. Il suo programma consisteva nel combattere l'Austria per realizzare lo Stato costituzionale. . Assunse notevole importanza nella fase preparatoria dei moti italiani del 1821. A differenza della Carboneria (v.) non aveva formalmente adottato né simboli né riti di iniziazione. Però, all'insaputa della maggior parte dei suoi stessi dirigenti, l'associazione faceva capo alla rete cospirativa di Filippo Buonarroti (v.), di cui rappresentava il primo grado d'iniziazione.

Federico I: di Hohenstaufen, detto Barbarossa (ted. Rotbart), imperatore /1122-1190). Già duca di Svevia dal 1147, fu eletto imperatore dalla dieta di Francoforte, succedendo così allo zio Corrado III (11529. Certo l’elezione di F., figlio di un ghibellino e di una guelfa, era espressione da parte dei grandi feudatari tedeschi, della volontà di raccogliere tutta la Germania intorno al nuovo principe, nel tentativo di riaffermare l’autonomia dello stato laico rispetto a Roma, gravemente compromessa trent’anni prima dal Concordato di Worms. Al di là delle sue origini, F. incarnava assai bene questa esigenza: ambizioso e poco disposto al compromesso egli, più ancora che alla creazione di una nazione tedesca compatta ed autonoma, mirava alla restaurazione dell’impero universale di Carlo Magno (v.), e non ammetteva alcun limite terreno al proprio potere. Tutta la sua azione fu ispirata a questo traguardo: a ciò egli deve tanto la propria grandezza quanto i più clamorosi insuccessi. I tempi erano ormai decisamente avversi ai suoi propositi universalisti; tuttavia le circostanze sembrarono da principio venirgli in soccorso. Il papa, benché lo detestasse (una delle prime azioni di F. era stata l’elezione non autorizzata dell’arcivescovo di Magdeburgo), aveva bisogno di lui per arrestare l’avanzata normanna nell’Italia meridionale, e per liberarsi di Arnaldo da Brescia, la cui predicazione stava mettendo in subbuglio la stessa Roma. I comuni dell’Italia settentrionale, benché naturalmente suoi avversari, lo volevano come arbitro delle loro contese. In particolare ne invocavano l’intervento Lodi e Como, soffocate dalla potenza dell’odiata Milano. Insomma, i suoi peggiori nemici lo chiamavano in aiuto. F. non si fece ripetere l’invito: scese per la prima volta in Italia (1154), e conobbe subito l’accanita ostilità dei comuni del nord. Diede comunque un’efficace dimostrazione di forza con la distruzione di Tortona (aprile 1155), e per il momento se ne accontentò. Da papa Adriano IV ebbe ciò che più gli interessava, la corona imperiale (17 giugno 1155); in compenso gli consegnò Arnaldo, che fu bruciato come eretico. Quanto ai Normanni, che il papa se la sbrigasse da sé: e Adriano, deluso, dovette scendere a patti. RF. Rientrò in Germania, ma per poco. Il comportamento dell’indomabile Milano, che si era affrettata a ricostruire Tortona ed a radunare intorno a sé le città fedeli, lo convinse a varcare nuovamente le Alpi nel 1158. Milano fu rapidamente distrutta, e dovette giurare fedeltà all’imperatore. Nella successiva dieta di Roncaglia, F. riaffermò la propria autorità e rivendicò a sé tutti i diritti usurpati dai comuni, i cui rappresentanti dovettero fare atto di sottomissione. Ma non appena F. scese al Sud, i comuni del nord tornarono a ribellarsi. Intanto lo scontro col papato si era fatto inevitabile: venuto a morte Adriano IV (1159), fu eletto a succedergli Alessandro III, che già come cardinale (Rolando Bandinelli) si era mostrato ostile a F. Questi gli oppose allora un antipapa, Vittore IV, sostenuto dal clero tedesco, e convocò un concilio a Pavia (1160) per legittimarlo. Quindi si volse contro Milano che, arresasi dopo un lunghissimo assedio (1163), fu saccheggiata e quasi rasa al suolo. Sistemati così i suoi più irriducibili avversari, F., al culmine della sua potenza, credette vicina la realizzazione del proprio progetto. Mosse allora contro la stessa Roma (1167) e, rifugiatosi Alessandro III presso la corte normanna, poté insediare in San Pietro l’antipapa Pasquale III, da lui nominato nel 1164 a succedere a Vittore IV. Dal nuovo antipapa F. fece anche canonizzare Carlo Magno, il grande modello cui si ispirava tutta la sua azione politica. Benché un’epidemia lo costringesse a lasciare precipitosamente Roma per far ritorno in Germania, il potere dell’imperatore sembrava più che mai fuori discussione. Ma l’azione di F. ebbe come risultato di unire in una sola lotta i comuni ed il papato. Con l’alta protezione di Alessandro III, i comuni del Nord si allearono a Pontida nella Lega Lombarda (1167), accordandosi per la ricostruzione di Milano, e giurando di combattere per il ristabilimento delle perdute autonomie. Veniva anche fondata una nuova città, Alessandria, in onore del pontefice. Ad essa F. pose l’assedio non appena ridisceso in Italia (1174), deciso a vincere una volta per tutte la resistenza dei comuni. Ma la città non cedette; F. fu perciò costretto ad accettare la sfida in campo aperto. La battaglia ebbe luogo presso Legnano il 29 maggio 1176, e la vittoria delle truppe della Lega fu netta. Lo stesso F. trovò non facile scampo nella fuga. Dovette allora concedere ai comuni vittoriosi una tregua, trasformata nel 1183 nella pace di Costanza, con la quale le autonomie comunali venivano da F. pienamente riconosciute; dovette anche umiliarsi ai piedi di Alessandro III. Il sogno dell’impero universale si piegò così definitivamente alla realtà. La più grande vittoria ottenuta in Italia da F. fu di tipo diplomatico. Il matrimonio del figlio Enrico con Costanza d’Altavilla, erede del trono normanno di Sicilia (1184). In Germania combatté aspramente la reviviscenza del particolarismo feudale, abbattendo nel 1181 la potenza guelfa. Non potendo esimersi, in qualità di imperatore, dalla difesa della cristianità, aderì nel 1189 alla terza crociata: ma, sulla strada di Gerusalemme, trovò la morte nelle acque del fiume Salef, in Cilicia.