Elena: Madre di Costantino I (Drepanum, Bitinia 247-Costantinopoli 335). Concubina di Costanzo Cloro (270), venne poi da questi ripudiata per sposare Teodora (293). E. venne insignita dal figlio, allorché era diventato imperatore, del titolo di Augusta (325). Fece giustiziare Fausta, la moglie infedele del figlio, ed influenzò questi in direzione filo ariana. Eresse alcune chiese: a Roma (s. Croce in Gerusalemme), a Betlemme (basilica della Natività), ed a Costantinopoli. Una leggenda attribuisce ad E. l’invenzione della Croce sul Calvario (326). Nell’iconografia, la statua del Museo Capitolino potrebbe raffigurarla: la pettinatura è caratterizzata da capelli ad onde regolari, con turbante intrecciato. Tale immagine è collegabile alle monete in cui sono però accentuati caratteri di anzianità. Tre statue, in oro, avorio e porfido, furono poste a s. Sofia di Costantinopoli. Il mausoleo di E., eretto sulla via Labicana, presso la basilica dei ss. Pietro e Marcellino, è in forma di grande rotonda, con cupola e con nicchie alle pareti, in cui erano deposti i grandi sarcofagi porfirei.

Elephantina: Denominazione antica dell’isola di Geziret Aswan, posta nel Nilo di fronte ad Assuan (v.), presso la prima cateratta del fiume, al confine con la Nubia. Ad E., antico centro del culto del dio Khunum, regolatore delle piene del Nilo, sono state rinvenute numerose iscrizioni dell’Antico Regno, sino all’epoca saitica, ed i resti di un tempio dedicato a Khunum da Alessandro II. Altri templi peripteri vi furono edificati dai faraoni Amenophis III e Tuthmosis III. Alcuni papiri in aramaico (V secolo a.C.) testimoniano la presenza di una colonia militare ebraica, in epoca anteriore alla conquista persiana. Da E. provenivano il granito grigio e quello rosa, impiegati per la scultura delle statue reali.

Eletti:  Denominazione data nell'Antico Testamento agli israeliti, quali E. del Signore. Con lo stesso nome il Nuovo Testamento designa invece tutti i Cristiani. 

Eleusini: I Misteri E. erano riti religiosi dell'antica Grecia, che si celebravano ad Eleusi, un villaggio nei pressi di Atene, in onore di Demetra (la latina Cerere), dea della Terra, e della figlia Persefone. Sarebbero stati istituiti da Orfeo, ad imitazione dei misteri egizi della dea Iside. Essi si suddividevano in "Piccoli Misteri", celebrati nel mese di Antesterione (febbraio-marzo) come preparazione ai "Grandi Misteri", celebrati sei mesi dopo nel mese di Boedromione (settembre-ottobre). L'iniziazione eleusina comprendeva due riti: il primo detto della "Comunione" ed il secondo denominato "Generazione". Il primo era preceduto da un digiuno purificatore di nove giorni, durante il quale l'aspirante si nutriva bevendo esclusivamente una bevanda sacra fatta di erbe. Gli iniziati ai Misteri E. si distinguevano in "Mystis", praticanti i Piccoli Misteri, ed in "Epopti" che praticavano i Grandi Misteri. Le cerimonie eleusine duravano dai due ai nove giorni, con offerte agli dei nel circolo locale ed in altri templi, e danze all'aria aperta effettuate a lume di torcia. I veri rituali mistici erano invece praticati in una sala oblunga, a cui avevano accesso solo gli iniziati ai misteri minori. Ogni lato della sala era arredato con sedili per gli spettatori, sistemati ad anfiteatro, mentre nel centro vi era una piattaforma sopraelevata. Si sa ben poco di affidabile sui riti celebrati, poiché il segreto che li avvolgeva era assolutamente impenetrabile. È invece risaputo che i misteri E. non pretendevano di impartire lezioni su una particolare dottrina esoterica coinvolgente la vita futura. Non importava molto quanto vi si diceva, ma ciò che si faceva. Non si trattava quindi di istruzioni, ma di impressioni.

-Eliopolis: Antica città egiziana chiamata On, centro del culto solare dal quale derivò il nome greco Heliopolis. Dell’antico insediamento non rimane quasi nulla, per la presenza di infiltrazioni d’acqua che ostacolano gli scavi archeologici, resi difficoltosi anche dalla città moderna sovrastante. Fu un grande centro religioso, al quale i faraoni, da Doser a Tolomeo II, portarono abbellimenti per la sua fama di culla della monarchia. Sede di una famosa scuola teologica che enunciò la teoria della Enneade (v.), detta anche eliopolitana. Del grandioso tempio solare resta solo un obelisco dedicato da Sesostris I. la necropoli comprende tombe di sacerdoti della VI Dinastia (2350-2200 a.C.) e di funzionari di epoca saitica. Con il nome di E. si indica oggi un sobborgo residenziale del Cairo, nei pressi della città antica.

Elisi: I campi E. erano l'eterna dimora degli eroi, dei poeti e delle anime virtuose dell'antichità. Questi vi trascorrevano la vita ultraterrena senza cure ed affanni, in una primavera perenne, sui prati d'asfodèlo. I campi E. erano governati da Saturno e dalla moglie Rea, che vi facevano rivivere la felice e favolosa età dell'oro. Secondo la mitologia vi fiorivano i fiori più delicati, dal profumo inebriante, mentre la voce divina dei più rinomati poeti e cantori si mescolava al dolce danto dell'usignolo. Ognuno vi godeva quei piaceri innocui dei quali si era più dilettato nel corso della vita, spogli però di quelle torbide passioni che spesso trasformano le dolcezze umane in amare delusioni ed in pene insopportabili.

Elvidiani:  Seguaci dell'eretico Elvidio, discepolo di Aussenzio vescovo di Milano (IV secolo). Sostenevano la superiorità del matrimonio sullo stato di verginità, anche delle religiose: affermavano che Maria, dopo Gesù, partorì a Giuseppe altri figli, negandone quindi la verginità. A queste tesi si oppose San Girolamo con il suo «De perpetua Mariae virginitate adversus Helvidium».

Emanatismo: Teoria metafisica che assume struttura sistematica con Plotino, ripresa poi con diverse variazioni da Scoto Eriugena, Eckhart, Cusano e Gioberti, e che influenzò anche l’idealismo di Hegel. Essa si basa sul rapporto di continuità tra Dio ed il mondo, opponendosi alle spiegazioni creazionistiche, evidenzianti la differenza qualitativa tra il Creatore ed il Creato, nonché a quelle generazionistiche, per cui la generazione avviene in Dio, uno e trino. Plotino definisce lo schema ciclico della derivazione dall’Uno, secondo una scala di inferiorità che percorre i gradi dello Sprito, dell’Anima e della Materia, ed il ritorno dell’inferiore al Superiore, reso possibile perché nell’anima individuale umana sono immanenti tutti gli altri gradi. Metaforicamente questo ciclo è rappresentabile come passaggio dalla Luce all’ombra e ritorno alla Luce.

Emanazionismo: v. Emanatismo.

Enciclica: Lettera apostolica del pontefice diretta ai vescovi su argomenti interessanti la dottrina o la morale. L’uso dell’E. venne introdotto da Benedetto XIV con la prima lettera del suo pontificato (3.12.1740). L’E. si differenzia dal rescritto che è invece indirizzato ad una sola persona. Si usa citare le E. con il loro incipit, ovvero col loro inizio. Fra le più importanti del XIX e XX secolo si possono ricordare: Nostris et nobiscum (Pio IX, 1849) su comunismo e socialismo; Quanta cura (Pio IX, 1849) sul naturalismo accompagnata dal celebre Syllabus; Rerum novarum (Leone XIII, 1891) sulla condizione della classe operaia; Pascendi dominici gregis (Pio X, 1907) sul modernismo; Casti connubii (Pio XI, 1930) sul matrimonio cristiano; Mit brennender Sorge (Pio XI, 1937) sul nazismo; Humani generis (Pio XII, 1950) sull’ortodossia cristiana; Miranda prorsus (Pio XII, 1957) su cinema, radio e televisione; Mater et Magistra (Giovanni XXIII, 1961) sul problema sociale; Pacem in terris (Giovanni XXIII, 1963) sulla pace nel mondo; Populorum progressio (Paolo VI, 1967) ancora sul problema sociale; Sacerdotalis caelibatus (Paolo VI, 1967) sul celibato dei sacerdoti.

Encratiti:  Seguaci di una primitiva setta cristiana rigorista ed eretica. Dal greco egcrathz, continente, od encrateia, astinenza, era anche denominata degli Encratici, dei severiani o dei continenti. Sorta nel II secolo, ebbe i suoi massimi rappresentanti in Tiziano, Giulio Cassiano e Severo. Gli E., identificando il male nella materia e nella carne (collegandosi in questo alle teorie gnostico-dualistiche), respingevano il matrimonio, ed erano astemi e vegetariani. Sostenevano la necessità di liberare lo Spirito dalla materia attraverso le pratiche ascetiche, la castità e l'astensione da alcuni cibi, tra i quali la carne ed il vino. La stessa Eucarestia (v.) veniva celebrata con la sola acqua, guadagnandosi così l'ulteriore appellativo di acquariani. Di rigorosissimi costumi, negavano la Comunione a quanti avessero peccato anche una sola volta. Nonostante la ferma opposizione di Ireneo ed Ippolito (II secolo) il movimento riscosse grande successo ovunque, diffondendosi soprattutto in Asia Minore, per estinguersi poi nel corso del V secolo.

Energia: Vigore fisico, forza di carattere. Per Aristotele è sinonimo di attualità o realtà. Per la fisica invece è la capacità di eseguire un lavoro, ed è associata alla massa. Si riscontrano molte analogie fra i concetti di E. della fisica e quelli che si hanno in riferimento alle E. interiori. Per esempio, l'E. potenziale e quella cinetica della fisica trovano molti riscontri con la potenza e l'atto dell'interiorità. Tuttavia, nelle E. interiori, con particolare riguardo all'aspetto della potenza, si presentano molti punti assai difficili da inquadrare, dei quali non è semplice trovare le equivalenze con la realtà contemplata dalla fisica. Per esempio, cosa rappresenta, nella nostra interiorità, il livello di potenziale, e quale è il significato della gravità? Alla prima domanda non è facile rispondere. Forse, nel secondo caso, si può avanzare una sostanziale analogia fra gravità e ispirazioni, ma allora ne conseguirebbe che viviamo in campi gravitazionali variabili, che dipendono direttamente dall'intensità delle nostre ispirazioni, e solo indirettamente dagli eventi. Malgrado le difficoltà, rimane però il fatto che siamo perfettamente in grado di percepire interiormente sia il nostro livello potenziale che le influenze della gravità. Senza tentare di avventurarsi su un terreno assai insidioso, appare comunque evidente che siamo in presenza di leggi di carattere universale, che regolano la nostra esistenza interiore e che, sia pure in condizioni di estrema variabilità, si applicano a tutti gli esseri viventi. Per questo è evidente la necessità della ricerca interiore.

Enneade: Termine derivano dall’egiziano pesedjet, gruppo di nove, con il quale vengono definite divinità, in ordine gerarchico od in funzione complementare, che insieme comprendono tutte le forze elementari dell’universo. La scuola teologica di Eliopolis (od Heliopolis) in epoca antichissima elaborò la grande E., con a capo il dio Atum, autogeneratosi per masturbazione oppure per sputo, i figli Shu, l’atmosfera, e Tefnut, l’umidità, i figli della coppia: Geb, la terra, e Nut, il cielo, nonché le coppie Osiride ed Iside, Seth e Nephtis. Poiché la prima E. era insufficiente a comprendere le divinità della teologia eliopolitana, venne enunciata una Piccola E., della quale tra gli altri facevano parte Horus, Thoth, Maat ed Anubis: Anche altre scuole teologiche, come quella di Tebe, espressero una loro E. Con il tempo il termine perse il suo significato etimologico, e conservò solo quello di collegio divino di una determinata teologia.

-Enoch: Personaggio leggendario discendente di Set, rapito in cielo all'età di 365 anni (Genesi 5, 21-24). Nella leggenda E. è considerato un indovino dei misteri celesti e terrestri. Assume un ruolo importante nell'Apocrifo della Genesi rinvenuto nel 1947 nel Mar Morto (v.). Si parla di lui nella Lettera agli Ebrei (11, 5-6), mentre nell'Apocalisse (11, 3-12) lotta con l'Anticristo insieme con Elia. Nel Corano è identificato con il misterioso Idris (19, 67; 21, 85). L'originale ebraico dell'apocrifo Libro di E. (II-I secolo a.C.) andò perduto. Oggi ne esistono tre versioni: etiopica, slava ed ebraica. L'E. etiopico è un compendio della cultura sacra e profana; l'E. dell'epoca di Gesù tratta di astronomia, delle leggi che regolano l'universo, della storia e rinnovazione messianica del Figlio dell'uomo. I frammenti in aramaico trovati nella IV grotta di Qumran farebbero supporre che la parte messianica della versione etiopica (37-71) potrebbe essere un'aggiunta di un giudeo cristiano del II secolo d.C. Della versione greca, cui si deve il testo etiopico, sono rimasti pochi frammenti. L'E. slavo è una rielaborazione dell'etiopico; il manoscritto più antico è del XV secolo. L'E. ebraico ci è arrivato in un manoscritto del 1511, che ne attribuisce il testo a Rabi Ismael ben Elisha (II secolo), di cui si racconta la salita al cielo e l'incontro con E., detto il Metatron, nella settima sfera. Il Libro di E. inizia così: «I libri dei santi segreti di E., l'uomo saggio, il grande scriba, che il Signore proteggeva ed amava in modo tale che egli poté vedere le dimore dell'Altissimo, e recare una testimonianza sul regno del sapientissimo, grande, incomprensibile ed immutabile Iddio, e sui compiti altamente prodigiosi e gloriosi, splendenti e pieni di occhi dei ministri del Signore, e sul trono inaccessibile del signore, e sullo schieramento degli eserciti incorporei, sull'ineffabile connessione della moltitudine degli elementi, e sulle varie apparizioni, e l'ineffabile cantico dei cherubini, e sullo splendore eterno».

Enoteismo: Termine derivato dal greco enoz, uno, e deoz, dio, impiegato da M. Müller per indicare un particolare atteggiamento dei seguaci delle religioni primitive politeistiche. Questo atteggiamento, distinto dal Müller sia dal monoteisno che dal politeismo, consisterebbe nella concentrazione del fedele nei riguardi di una particolare divinità, pur senza escludere le altre, cioè della preminenza assunta da un dio tale da attirare sopra di sé tutto il culto. Sarebbe un anello intermedio tra il politesimo ed i monoteismo.

Enriciani:  Seguaci di una setta eretica fondata in Francia nel 1116 dal monaco cisterciense Enrico di Losanna, seguace di di Pietro de Bruys (v. Petrobrusiani). Accusavano di immoralità e corruzione la Chiesa di Roma, negavano l'efficacia dei Sacramenti (v.), e non riconoscevano gran parte delle Sacre Scritture. Papa Eugenio III inviò in Francia un proprio legato appositamente per contestare i  loro errori, che furono aspramente confutati dallo stesso San Bernardo di Chiaravalle (v.). La setta si disperse alla morte di Enrico di Losanna, detenuto nell'abbazia di Clairvaux (1145). Anche i partigiani dell'imperatore Enrico IV vennero chiamati E., durante la Lotta per le Investiture (v.). Fu questa eresia che preparò il terreno all'avvento dei Catari (v.).

Enrico il Navigatore: Infante di Portogallo (1394-1460), figlio di Giovanni I. Trasformò la sua residenza Villa o Infante a Tercena Naval (l’attuale Sangres nell’Algalve) in arsenale ed istituto nautico, da dove diresse l’opera di navigazione e di colonizzazione africana dei suoi capitani, Gonzales Zarco, Alvise da Cadamosto, João GonHalves Zarco, Tristão Vaz Teyxeira, Bartolemeau Perestrello. Gil Eannes, Nuno Tristão, Vehlo Cabral ed altri ancora (Porto Santos, 1418; Madera, 1419; Azzorre, 1415; Capo Verde e Senegal, 1447; Sierra Leone, 1446 e Gambia, 1457). Fu anche Gran Maestro dell’Ordine di Cristo (v.), fondato per mascherare i Cavalieri Templari sfuggiti all’eliminazione imposta dai francesi e dal papa. Una spedizione da lui organizzata contro il Marocco (1437), avviata allo scopo di conquistare l’importante porto commerciale di Tangeri, ebbe però un esito disastroso, e segnò l’inesorabile lento declino del suo prestigio e della sua stessa vita. Y Il richiamo del Commercio: Vi furono molteplici fattori che influenzarono i viaggi d’esplorazione di E.. Accanto a questi emerse però un’altra ragione per intraprendere le esplorazioni, decisamente più pragmatica. Anche se i Portoghesi da tempo vedevano l’Atlantico come la loro maggiore area commerciale, essi ebbero meno interessi affaristici nel Mediterraneo, ed E. vedeva l’Africa come un ricco mercato, con risorse naturali e materiali grezzi. Il Portogallo esportava al nord Europa sale, vino, frutta fresca ed essiccata, luppolo, sughero, olio, miele, molluschi, ed altri materiali non lavorati, in cambio di cereali, farina, pesce fresco e salato, formaggi, metalli, legname e materiali necessari per la costruzione di navi, tessuti e materiali lavorati. Anche se i secoli XV e XVI sono noti come periodo dell’espansione dell’influenza europea, è importante notare che tale epoca d’espansione commerciale e coloniale non rappresentavano certo una novità. Infatti i rapporti commerciali avevano goduto di una lunga e vasta storia nel Mediterraneo e nell’Atlantico, sia in articoli di lusso che in generi di normale consumo. Al tempo della sua conquista da parte Portoghese, Ceuta ospitava approssimativamente 24.000 stabilimenti commerciali, molti ovviamente delle dimensioni di una bottega, che trattavano metalli preziosi, sete, droghe ed armi. Ma dopo l’occupazione portoghese della città, l’attività commerciale perdeva gradualmente importanza. Vi erano due possibilità per rivitalizzare la città: i Portoghesi potevano stabilire durevoli condizioni di pace con i nordafricani, oppure potevano conquistare i territori del circondario di Ceuta per fornire alla città un entroterra economico da cui ricavare risorse e mercati. Considerato però che il conflitto tra l’Islam e la Cristianità europea impedivano una pace durevole, i Portoghesi tentarono di guadagnare il controllo dell’entroterra, ma con risultati disastrosi. Y I suoi viaggi: Come s’è visto, vi erano diversi motivi per indurre E. a sollecitare l’esecuzione di viaggi di esplorazione. Azurara, contemporaneo e cronista di E., le sintetizzò come segue: Il desiderio di conoscere le terre oltre il Capo Bojador; stabilire relazioni commerciali vantaggiose per il Portogallo; accertare la forza dei suoi nemici nei territori africani; ricercare alleati per condurre le battaglie in nome della Cristianità; diffondere il Cristianesimo. Il collasso dell’impero romano (V secolo) non comportò il declino del commercio e degli scambi con il nord Africa. Il controllo degli scambi era essenzialmente finito in mani private. Allorché il Portogallo tentò di recuperare il commercio nordafricano, scoprirono che per fare affari dovevano ricorrere ad innumerevoli intermediari, vedendosi così negata la motivazione fondamentale di viaggiare per ampliare la conoscenza del territorio africano. La conquista di Ceuta nel 1415 significava però che i colonizzatori portoghesi fossero confrontati con maggiori informazioni relative all’interno dell’Africa. Essendo negata ad E. la possibilità di esplorare via terra l’interno dell’Africa, egli dovette pensare ad un approccio alternativo. Anziché esplorare l’Africa direttamente, E. avrebbe tentato un accerchiamento, esplorando l’Africa per mare. I due capitani prescelti da E., per guidare le sue prime spedizioni per esplorare capo Bojador, non erano esperti marinai. Probabilmente quella scelta era stata ben ponderata, considerato che nessun esperto marinaio giunto forzatamente a contatto con miti e leggende collegati ai viaggi di navigazione, avrebbe navigato volentieri verso l’ignoto. Ancora più importante, come gli storici hanno potuto accertare, era il fatto che i marinai portoghesi non erano abituati alla navigazione in mare aperto, poiché la loro esperienza nautica era limitata alla navigazione lungo le coste, mantenendosi in vista della terra. E. non si limitò a non prendere parte a queste iniziali spedizioni verso Capo Bojador, ma non prese neppure parte ad alcun viaggio successivo, un fatto che portò gli storici a furiosi dibattiti sull’interpretazione del ruolo da lui svolto nell’esplorazione africana. E. si è guadagnato un posto preminente nella storia fornendo gli stimoli intellettuali e finanziari per consentire i viaggi. Più recentemente gli storici hanno pensato che E. non abbia affatto giocato un ruolo attivo nel corso dell’esplorazione dell’Africa. Qualcuno ha obiettato che questo significherebbe che il principe fu un codardo, timoroso di affrontare rischi e danni fisici connessi con l’esplorazione. Ma il coraggio da lui dimostrato nel corso della campagna di Ceuta sembrerebbe negare una simile possibilità. Forse fu il rischio d’essere catturato dai pirati nordafricani che impedì al principe di svolgere un ruolo più attivo, anche se le navi portoghesi erano ben armate e nessuna sua nave fu mai catturata dai pirati. Altri, preferendo enfatizzare gli aspetti positivi nella preferenza di Enrico di restare in Portogallo, concludono che il sacrificio da lui accettato fu straordinario. Fu compito di Enrico la pianificazione delle spedizioni e la valutazione dei rapporti portati in patria. Secondo tale prospettiva, fu solo rimanendo obiettivo che Enrico fu in grado di analizzare con cura le informazioni procurategli dagli esploratori, separando le verità dalle simulazioni, ponendosi così in condizione di organizzare a dovere i viaggi successivi. Forse la spiegazione più plausibile alla decisione di Enrico di restare a Sagres è che gli usi del XV secolo condizionavano le attività, come la difficile convivenza per lunghi mesi in ambienti molto scomodi e ristretti con numerosi marinai sottoposti ad un principe. Considerato che vari nobili presero parte a tali spedizioni, e visto che E. aveva già ripetutamente campeggiato con le sue truppe nel corso di campagne militari, la sua schizzinosità nei confronti di stretti contatti con marinai sembra difficile da accettare. Come si sparse in tutta l’Europa la voce delle spedizioni portoghesi in corso, marinai, astronomi, cartografi e geografi cominciarono ad arrivare a Sagres, per offrire ad E. i loro servigi. Tra questi c’erano cristiani, ebrei ed anche arabi. Il principe aveva scoperto da anni, dal tempo di Ceuta, come l’abilità nella navigazione degli Arabi fosse superiore alla norma e, quanto emerse a Sagres non fu tanto una scuola di navigazione, quanto una comunità di scolari che, sotto la guida di Enrico, erano ansiosi di imparare per poi conquistare l’ignoto. Quando le navi di E. ritornarono dalla loro prima esplorazione, i loro capitani riferirono che non erano in grado di navigare attorno a Capo Bojador secondo i piani predisposti. Subito dopo aver superato Capo San Vincenzo, erano stati coinvolti in festeggiamenti e si erano ubriacati, per cui avevano perso ogni senso d’orientamento. Navigarono per vari giorni finché il vento cessò di soffiare. Per buona sorte l’equipaggio teneva d’occhio la terra, e gli intrepidi esploratori poterono andare avanti, scoprendo un’isola con un’accogliente baia, a cui venne imposto il nome di Porto Santo, poiché era stato davvero provvidenziale. Per quanto potevano stabilire, Porto Santo si trovava all’incirca a 500 miglia a sud-ovest di Capo San Vincenzo. La scoperta di Porto Santo fu determinante, poiché esso fu poi sfruttato come punto di partenza per i viaggi futuri. Andrebbe però notato che resta il dubbio che siano state veramente le navi di E. a scoprire Porto Santo, perché l’ubicazione dell’isola coincide con quella riportata in una mappa genovese del 1351 circa. Nonostante tutto i Portoghesi credettero d’aver scoperto una terra mai registrata prima. Incoraggiati dalla notizia che vi erano ancora terre da scoprire, prima del 1419 fu approntata un’altra spedizione. Lungo il viaggio incrociarono l’isola di Madeira (nome portoghese del legno) nei primi mesi del 1420. E. mise in mostra una notevole perseveranza, organizzando una spedizione dopo l’altra verso il Mare delle Tenebre, com’erano allora definite quelle acque sconosciute, in 15 anni di tentativi effettuati per doppiare il Capo Bojador. Anche se egli stimolava i suoi capitani con promesse di compensi e di gloria, si doveva attendere fino al 1434, quando Gil Eanes (od Eannes) riuscì nell’impresa. La distanza fisica navigata non rappresentò la parte significativa di questa grande impresa. Fu invece determinante il fatto che Gil Eanes aveva navigato oltre Capo Bojador ritornando poi in Portogallo, sfatando così definitivamente oscuri miti e secolari terrificanti leggende riguardanti il Mare delle Tenebre. Sono state trovate varie spiegazioni sulla ragione per cui ai Portoghesi costò tanto tempo il conseguimento di questo risultato. I due problemi più significativi erano che le navi che navigavano a vista lungo le coste africane rischiavano d’incagliarsi sul fondo, mentre quelle che tentarono di deviare verso il mare aperto, si allontanarono troppo perdendosi poi definitivamente. Eanes ebbe successo perché non tentò mai di navigare a vista. Al contrario, egli tracciò una rotta oceanica prima di cambiare rotta per dirigersi nuovamente verso l’Africa. Quando Eanes avvistò nuovamente la terra, era ormai giunto ben oltre Capo Bojador. Y Le Realtà finanziarie dell’Esplorazione, della Colonizzazione, e la disfatta di Tangeri: L’esplorazione dell’Africa occupò gran parte del tempo e delle attenzioni di E., ed ogni successo rappresentava un pressante incentivo per imprese successive. La colonia portoghese di Ceuta diventava rapidamente una perdita per il tesoro nazionale, e si cominciava a capire che senza la città di Tangeri il possesso di Ceuta diventava insignificante. Con il passaggio di Ceuta sotto il dominio portoghese, le carovane di cammelli, che facevano parte delle precedenti rotte commerciali dell’entroterra, cominciarono ad usare Tangeri come nuova destinazione. Questo privava Ceuta dei materiali e dei beni che ne avevano fatto un attraente mercato ed un attivo centro di smistamento, e la città divenne rapidamente una comunità isolata. Il costo della guarnigione generava ulteriori perdite, ed la sola alternativa per cambiare la situazione era la conquista di Tangeri. C’era comunque un’ulteriore ragione per avviare una campagna militare contro Tangeri. Il principe Fernando, fratello minore di E., aveva solo undici anni quando i Portoghesi conquistarono Ceuta, per cui lui non aveva condiviso le gloria in battaglia di cui aveva beneficiato il fratello maggiore. Dopo molte pressioni e qualche intrigo di corte, nel 1436 E. riusciva a convincere il fratello a partecipare alla preparazione di un attacco a Tangeri. In netto contrasto con l’attacco sferrato a Ceuta anni prima, l’assalto a Tangeri venne predisposto male ed eseguito ancor peggio. Quando la flotta portoghese salpò nell’agosto 1437, comprendeva soltanto 4.000 uomini di truppa, mentre gli strateghi portoghesi avevano calcolato la necessità di disporre di 14.000 soldati, onde costituire una valida unità d’assedio. Inoltre E. non aveva affatto tenuto nascosta la sua intenzione di attaccare la città, per cui i nordafricani erano ben preparati per respingere i Portoghesi. Per tre volte le sue armate vennero respinte, e finalmente E. arrivava a comprendere la futilità di quei suoi attacchi. Perduta ogni speranza di successo, Enrico chiedeva al capo saraceno, Sala-ben-Sala, di dettare le sue condizioni di resa. I termini nordafricani si rivelavano decisamente duri. Non solo imponevano uno scambio di ostaggi, il principe Fernando contro uno dei figli di Sala-ben-Sala, ma richiedevano ai Portoghesi la restituzione di Ceuta. Lo scambio degli ostaggi fu una spettacolare dimostrazione di buona fede concordata tra i due capi, ma presto divenne chiara l’intenzione di Sala-ben-Sala di liberare con le armi Ceuta dai Portoghesi. Sala-ben-Sala dichiarava che i Portoghesi dovevano lasciare Ceuta prima che fosse rilasciato il principe Fernando. Quando i Portoghesi protestarono, ricordando a Sala-ben-Sala che trattenevano ancora come ostaggio un suo figlio, questi replicava di avere molti altri figli, per cui non era poi così importante quello che loro trattenevano. Fu così che E. venne costretto ad adottare una importante decisione: infatti doveva sacrificare la colonia di Ceuta per ottenere la libertà del fratello, oppure tenersi Ceuta condannando Fernando alla prigionia. La città di Ceuta significava molto, nel contesto del contrasto tra cristianità ed infedeli, e perfino il Papa si opponeva al suo scambio per la vita di Fernando. La città non poteva essere sacrificata per un solo uomo, anche se fratello del futuro re del Portogallo. Inutile aggiungere che il povero principe Fernando doveva morire quattro anni più tardi nella sua prigione di Tangeri. E. usciva moralmente distrutto dalla disfatta di Tangeri. Dopo circa un anno riesumava i suoi interessi per l’esplorazione dei mari, e molti tra quelli che gli erano vicini pensarono che il suo rinnovato vigore fosse la naturale reazione allo smacco subito a Tangeri. L’accanimento con cui si impegnò fece pensare che intendesse compensare lo smacco subito adoprandosi per conquistare tutta l’Africa. Ma non doveva riuscire nel suo intento, poiché moriva nel 1460 avvolto nei suoi sogni, nella sua scuola di navigazione di Sangres, senza essere riuscito a prendere possesso del trono che gli spettava per diritto di sangue reale.