Corona: Ornamento del capo in forma circolare di origine antichissima, nato come intreccio di rami e poi foggiato in metallo, usato dapprima solo nelle cerimonie di culto, ed in seguito come segno di riconoscimento per imprese militari, civiche e sportive. Ne sono state rinvenute sul capo di mummie faraoniche (2000 a.C., v. C. Egizia), in varie necropoli (Crimea, Taranto); vengono citate tra gli ex-dono, come del Partenone, rappresentate su stele funerarie, monete, ceramiche ed altari. Se ne distinguono i tipi a seconda dell’impiego: ¨ dedicate agli dei (Grecia e Roma), fatte con l’elemento sacro a ciascuno, come con l’olivo per Atena, le spighe per Demetra e l’alloro per Apollo, ed in seguito imitate con metalli preziosi, spesso smaltati (Monaco e Canosa); ¨ di destinazione funeraria, a sottili foglie d’oro (Montefortino ad Ancona); ¨ agonistiche, di consistenza e valore variabile secondo il tipo di premio rappresentato; ¨ imperiali, tra cui la radiata di origini orientali, poi diffusasi a Roma; ¨ onorifiche per meriti civili (C. civica), o militari (C. triumphalis, rostrata, castrensis, ecc). In Grecia risulta costante la semplice e leggera forma base, ottenuta con due rami legati ad una estremità e combacianti all’altra. In ambiente etrusco si preferì apporre ornamenti su una struttura rigida portante, con effetto pesante, monotono ed innaturale. Nel Medioevo la tradizionale C. di fronde, sotto l’influsso dell’arte bizantina, venne sostituita da una forma stilizzata, costituita da un cerchio di metallo prezioso, riccamente lavorato ed adorno di pietre preziose, assumendo lentamente valore esclusivo di simbolo dell’autorità regale. La C. di Teodolinda, conservata nel duomo di Monza, risale al VII secolo; qui è anche conservata la C. ferrea (così chiamata per una sottile lamina di ferro che, secondo la leggenda, sarebbe stata ricavata da un chiodo della Croce di Cristo, e che la circonda internamente. Quest’ultima è servita per la cerimonia dell’incoronazione di molti re d’Italia, da Ottone I a Napoleone ed a Ferdinando I. Esemplari famosi di C. sono ancora quella in stile siculo-bizantino, detta di Carlo Magno (Vienna, Schatzkammer), con cui si incoronavano gli imperatori tedeschi; la tiara di Costanza, moglie di Federico II (Duomo di Palermo); quella degli Asburgo, un lavoro finissimo di cesello e di gemme (1602, Schatzkammer di Vienna), e quella di Napoleone (Louvre). In araldica la C. di principe è sormontata da otto foglie di acanto a fioroni d’oro (cinque visibili), sostenute da punte ed alternate da otto perle. La C. di duca è formata da otto fioroni d’oro (cinque visibili) sostenuti da punte, La C. di marchese è cimata da quattro fioroni d’oro (tre visibili) sostenuti da punte ed alternati da quattro gruppi piramidali di tre perle ciascuno (due visibili). La C. di conte è cimata da sedici perle (nove visibili). La C. di barone ha il cerchio accollato da un filo di perle con sei giri in banda (tre visibili). La C. di visconte è cimata da quattro grosse perle (tre visibili), oppure da due punte d’oro. Esistono inoltre C. di provincia, di città e di comune.

Corona Egizia: Simbolo del potere regale del faraone era la C., che presentava diverse foggie a seconda dei regni. Le notizie disponibili su questo particolare copricapo ci vengono unicamente dalle rappresentazioni disponibili tra i reperti archeologici. Esistevano tre diversi tipi di C.:
1) una C. bianca distintiva dell’Alto Egitto, costituita probabilmente da giunchi intrecciati, pelle e tela, denominata Kedyet: era una tiara stretta in punta, che ornava il capo di Osiride;
2) la C. rossa del basso Egitto, che compariva nelle raffigurazioni della dea Neith, ed era denominata Desheret: presentava un’appendice verticale nella sua parte posteriore, dalla cui base si dipartiva una lista, forse metallica, che terminava a spirale nella parte anteriore;
3) la C. dell’Egitto unificato, formata dalla sovrapposizione delle due C. precedenti, ed era chiamata Pschent.

Corona-Sapienza-Prudenza-Sovrana:  Espressione cabalistica (v. Qabbalah) indicante l'Archetipo, il G.A.D.U. (v.), che rivelerebbe una parte della sua immensa conoscenza attraverso particolari emanazioni, cui viene attribuito il nome di Sephirot (v.).

Corpi Massonici Rituali: Il Grande Oriente d’Italia consente ai propri Fratelli Maestri di aderire a quei CMR che traggono i propri iscritti esclusivamente fra i Maestri massoni appartenenti a Logge all’obbedienza del G.O.I. e che si conformino al principio di esclusività territoriale di ogni denominazione (Art. 3 della Costituzione dell’Ordine).

Corpo Astrale: Una delle tre diverse nature, o forme, dell’essere umano. È noto anche come anima, il Manas ed il Buddhi sanscriti visti combinati tra loro, e serve per il collegamento tra gli altri due componenti: il Corpo fisico, il sanscrito veicolo rozzo, ed il Corpo etereo, l’Atman, lo Spirito. Le più attuali dottrine esoteriche, soprattutto la parapsicologia, confermano che queste tre nature trovano piena corrispondenza cosmica con l’universo, a sua volta suddiviso in fisico (manifestazione formale o grossolana della sostanza, il mondo ben descritto da Dante come Inferno), astrale (stato di manifestazione informale del disincarnato, sottile e psichica, dal poeta fiorentino definito Purgatorio) ed etereo (stato di non manifestazione, o spirituale: il Paradiso, ). Una corrispondenza in assoluta sintonia con la dottrina ermetica che, soprattutto attraverso la Tavola Smeraldina (v.), sostiene l’assoluta uguaglianza tra il microcosmo ed il macrocosmo. Il C.A. rappresenta la veste naturale indossata dall’uomo che ha lasciato il corpo fisico, attraverso il fenomeno definito morte (v.). Nessun C.A. ha alcuna consistenza fisica, essendo molto fluida e sottile: quindi è anche del tutto privo di forma e di sensibilità corporale. Nonostante ciò i vari C.A. che fluttuano nel mondo astrale si riconoscono perfettamente tra loro, grazie alle diversificate vibrazioni individuali di cui sono dotati, pur mantenendo capacità di contatto col mondo fisico che hanno lasciato. Vedono, sentono e percepiscono perfino gli odori, mantenendo appieno le caratteristiche (carattere, interessi, affetti, ecc.) che li distinguevano in vita. Non possono manifestarsi se non attraverso contatti medianici in cui di norma si rivelano come larve, ma possono soprattutto pensare liberamente. Il loro pensiero è decisamente costruttivo, poiché quanto è pensato viene quasi istantaneamente materializzato, da un ambiente qualsiasi ad un essere. Per le persone particolarmente condizionate in vita diventa un’esperienza ossessiva, che vincola l’individuo al mondo fisico in modo morboso, interrompendo il cammino verso la meta, rappresentata dalla Luce del mondo etereo. Tale interruzione permane finché il C.A. non viene dissolto dalla volontà individuale, allorché viene percepita la complessità del mosaico rappresentativo del Creato. Solo allora l’individuo astrale riacquista la propria libertà personale e, intravista finalmente la Luce che lo sovrasta, vi si dirige con risolutezza, per finalmente accedere al livello superiore del cosiddetto Aldilà (v. Astrale).

Corpo Etereo: Una delle tre nature, o forme, di ogni essere, specialmente di quello tra tutti più evoluto: l’essere umano. È noto anche come Spirito, il sanscrito Atman., che la tradizione occidentale cristiana definisce impropriamente anima. Infatti l’anima è lo stato ad esso precedente, è il Manas ed il Buddhi sanscriti visti combinati tra loro, il Corpo Astrale (v.), e serve da collegamento tra gli altri due componenti: il Corpo fisico, il sanscrito veicolo rozzo, ed il C.E. Le più attuali dottrine esoteriche, soprattutto la parapsicologia, confermano che queste tre nature trovano piena corrispondenza cosmica con l’universo, a sua volta suddiviso in fisico (manifestazione formale o grossolana della sostanza, il mondo ben descritto da Dante come Inferno), astrale (stato di manifestazione informale del disincarnato, sottile e psichica, dal poeta fiorentino definito Purgatorio) ed etereo (stato di non manifestazione, o spirituale: il Paradiso, ). Una corrispondenza in assoluta sintonia con la dottrina ermetica che, soprattutto attraverso la Tavola Smeraldina (v.), sostiene l’assoluta uguaglianza tra il microcosmo ed il macrocosmo. Il C.E. rappresenta la veste naturale indossata dall’uomo che ha lasciato il corpo astrale, allorché questo viene dissolto dalla volontà individuale, un evento reso reale quando viene percepita la complessità del mosaico rappresentativo del Creato. Ben descritto da Dante nei suoi trentatre cantici del Paradiso, si presenta in una splendida ed indescrivibile viva luce, al termine di un lungo canale di accesso che ogni creatura deve percorrere, a velocità molto elevata. In tale ambiente ogni C.E. ha finalmente la possibilità di contemplare in una visione ampiamente panoramica il complesso e perfetto mosaico del Creato, di cui il singolo individuo è tassello personalizzato. Qui si ha la visione della Verità più assoluta, nonché dei dettagli dell’ultima trascorsa esistenza, di cui si afferrano gli effetti spirituali di ogni gesto, di ogni azione compiuta, degli effetti scontati dell’esistenza precedente all’ultima, delle nuove cause originate per il prossimo e per sé stessi. Tali cause implicano la necessità di una nuova incarnazione, nel corso della quale dovranno essere compensati i loro effetti. L’esistenza successiva diventa allora un vero e proprio bisogno, l’individuo palesa la propria disponibilità, e le entità superiori preposte la renderanno reale allorché saranno disponibili le condizioni più opportune per l’espletamento del nuovo compito, in termini di tempo, luogo e situazione ambientale. Nel preciso istante adeguato il C.E. penetra nell’ovulo prescelto, esattamente al momento del concepimento. Da qui nasce la catalogazione esoterica dell’aborto come reale atto criminale di omicidio.

Corpo Fisico: Una delle tre diverse nature o forme dell’essere umano. È il sanscrito veicolo rozzo, che riveste come un’armatura ogni essere vivente. Il C.F. è soggetto alle limitanti leggi della cosiddetta materia, che ne condizionano i movimenti, le azioni ed anche il pensiero, aspetti vitali diversi che, secondo le dottrine orientali, definiscono il mondo delle caduche illusioni terrene. L’esistenza del C.F. si conclude inevitabilmente con il suo decesso, noto come morte (v.).

Corte Centrale: Organo massonico preposto al giudizio delle cause, dei contenziosi e delle dispute sorte nell’ambito dell’Obbedienza, fino all’emissione di sentenze. La C.C. è compresa tra gli Organi della giustizia massonica (Art. 64 della Costituzione dell’Ordine), e le sue competenze sono stabilite dall’Art. 67 della stessa Costituzione: "La C.C. è competente a giudicare in primo grado le azioni costituenti colpa massonica compiute dal Gran Maestro, dai membri effettivi di Giunta del G.O.I. e dai componenti della stessa Corte. Giudica inoltre in primo grado le colpe massoniche compiute, in ragione del loro ufficio, dagli ex Grandi Maestri, dagli ex membri effettivi di Giunta del G.O.I., dai Grandi Maestri Onorari, dai Grandi Architetti Revisori, dai Consiglieri dell’Ordine, dai Presidenti dei Collegi Circoscrizionali e dagli Ispettori di Loggia. La C.C. è competente a giudicare in secondo grado delle impugnazioni avverso le sentenze di primo grado emesse dai Tribunali Circoscrizionali. La C:C. è competente a giudicare in materia di legittimità delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in grado di appello dai Tribunali Circoscrizionali. La C.C. è altresì competente a decidere sui reclami avverso i provvedimenti di cancellazione delle Logge adottati dalla Giunta del G.O.I. La C.C. è infine competente a celebrare i processi di revisione promossi dal Gran Maestro". Infine l’Art. 68 prevede che "La C.C. riunita in sessione plenaria è competente a giudicare in materia di legittimità delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in grado di appello dalle Sezioni della stessa Corte ed in secondo ed ultimo grado, di merito e di legittimità, delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in primo grado dalle sezioni della stessa Corte". Il Regolamento dell’Ordine prevede al riguardo: Art. 193 – Il numero dei Giudici della C.C. è complessivamente di trentaquattro. I Collegi Circoscrizionali ogni cinque anni eleggono, ciascuno, un Giudice della C.C. tra i Fratelli Maestri che abbiano i requisiti indicati nell’Art. 190 del Regolamento dell’Ordine (non meno di cinque anni di anzianità nel grado di Maestro, aver rivestito la dignità di Maestro Venerabile, non rivestano altra carica elettiva o di nomina, per cultura ed esperienza massonica siano ritenuti idonei alla funzione). Gli altri Giudici vengono eletti dalla Gran Loggia tra i Fratelli Maestri aventi i medesimi requisiti sopra indicati; Art. 194 – Entro i successivi trenta giorni il Gran Maestro convoca i Giudici eletti, e ne riceve la promessa solenne sulla formula di rito. Nei successivi quindici giorni, il Giudice più anziano nel grado di Maestro riunisce i Giudici eletti per la designazione del Presidente della C.C. Il Presidente designato, nella stessa riunione, presi in carico tutti i procedimenti pendenti la cui istruttoria non sia stata iniziata, nonché le Tavole d’accusa, fissa i criteri di coordinamento e di distribuzione degli incarichi, e nomina fra gli eletti il Segretario Centrale. Subito dopo il presidente della C.C. forma Sezioni composte, ognuna, da cinque Giudici effettivi e tre Supplenti. Ogni Sezione giudicante elegge il proprio Presidente; Art. 195 – La C.C. ha la sua sede presso il G.O.I. Ove lo svolgimento di un processo si debba tenere in sede diversa, il Presidente dell’Organo giudicante ne dà notizia alla Grande Segreteria. Lo svolgimento del processo innanzi alla C.C. è regolamentato dai successivi Artt. 196, 197, 198 e 199, mentre gli effetti della sentenza definitiva emessa sono riportati agli Artt. 200 e 201.

Coscienza Esoterica: Si può affermare che ormai tutte le dottrine esoteriche moderne fondano le proprie ideologie sulla reincarnazione (v.), se non addirittura sulla metempsicosi (v.). Questa base dottrinale implica quale fondamento la legge del karma (v.), ovvero della ruota (o ciclo) morte-rinascita, o della legge di causa ed effetto. Alla base dell’evoluzione dell’essere umano pongono quindi l’accumulo delle esperienze di vita, con i loro insegnamenti acquisiti da ciascuno nel mondo astrale (v.), subito dopo ogni morte (v.) fisica. Tali insegnamenti vanno ad arricchire il magazzino individuale delle esperienze, ove le memorizzazioni rimangono quale sostegno alle vite successive di ognuno. Si tratta di insegnamenti fondamentali, che consentono il prosieguo del cammino umano verso la perfezione, ovvero verso l’estinzione del karma. Praticamente da tali memorizzazioni, al momento opportuno, ovvero prima di compiere una qualsivoglia scelta, provengono potenti segnali che ostacolano, o addirittura impediscono, il ripetersi di un errore già commesso nelle precedenti esistenze e come tale riconosciuto ed acquisito, appunto immagazzinato. Se si è ucciso non si uccide più, se si è rubato non si ruba più, e così via. Tale magazzino dati viene da tali dottrine definito coscienza. Quando il segnale perviene all’individuo viene definito "voce della C." e, quando nonostante tale segnale si è ripetuto quel particolare errore, subentra il cosiddetto "rimorso di C.". Per cui si può sinteticamente affermare che le esperienze di vita arricchiscono la C., portandola gradualmente al cosiddetto livello cosmico, ovvero universale, rappresentativo dell’Uno-Tutto, vale a dire della perfezione divina. È a tale punto che si estingue il karma, e viene di norma definitivamente interrotto il ciclo delle reincarnazioni, poiché la scintilla divina individuale è allora in grado di ricongiungersi con l’origine di tutte le cose, con l’Uno-Tutto, rientrando così nell’essenza di Dio.

Coscienza Scientifica: Termine indicante la presenza della mente a sé stessa. Filosoficamente si tratta del concetto che predomina in tutto il pensiero moderno, da Cartesio fino a Husserl, dove il tema della conoscenza svolge un ruolo fondamentale, ed entro questo tema la discussione riguarda principalmente le nozioni di io e di autocoscienza. Il rapporto tra C. ed autocoscienza caratterizza la filosofia moderna, nel senso in cui la presenza della mente a sé stessa implica la possibilità di riferirsi ad un centro di attività individuale come io o persona; la C. ha infatti un carattere riflesso in quanto C. di sé, ciò che la oppone ad ogni atteggiamento naturalistico, immediato ed ingenuo. In tal modo la C. è studiata filosoficamente come il distacco dalla presa diretta ed irriflessa con il mondo, come ambito insieme della costituzione del soggetto e dell’oggetto. In un altro senso peculiare, recentemente sottolineato soprattutto dalla fenomenologia, la C. è sempre coscienza di qualche cosa, cioè non si dà C. senza contenuto, e tra C. e contenuto si istituisce un rapporto particolare definito intenzionalità, il quale indica il muoversi soggettivo della C. verso i propri oggetti, senza alcuna presupposizione del carattere degli stessi. I dati immediati della C. sono perciò i vissuti nel loro complesso, o meglio la stessa C. è il flusso o la corrente dei vissuti. Nel mondo greco il tema si presenta con il "gnose te ipsum" di Socrate, e con la elaborazione che ne fa Platone, nel Carmide, nel Filebo e nel Teeteto, dove emergono il carattere riflesso della C. ed il suo riferimento ad un’attività più profonda rispetto alla sensibilità; con Plotino e l’indirizzo neoplatonico si comincia a parlare di un’attività interiore, identificata con la C., capace di un’esistenza autonoma e chiamata "vita", vita come presenza dell’anima a sé stessa. Il concetto, proprio alla speculazione orientale, passa in Agostino, il quale anticipa il tema della C. come certezza interna, definendo il "vivere" come ricordo, intellezione, volontà, pensiero e giudizio, e la C. come garanzia soprattutto morale. In seguito tutto il pensiero cristiano medievale svolge questo concetto di C. morale quale testimonianza interiore del bene e del male. Oltre a Cartesio, che fornisce il massimo sviluppo filosofico agli spunti agostiniani, nel XVI secolo ha un rilievo autonomo la riflessione di Campanella, che nella sua Metaphysica insiste sulla dottrina dell’autocoscienza come punto di partenza per la costruzione della scienza del reale: la conoscenza di sé è innata, originaria, mentre la conoscenza delle cose esterne è aggiunta o addita, per cui la prima è in grado, se disoccultata, di fondare la seconda. In Cartesio la C. originaria è il cogito, l’io penso, principio di evidenza e di ogni verità, quindi principio costitutivo della scienza rigorosa: per giungere all’evidenza del cogito occorre comunque percorrere il cammino del dubbio metodologico, che si richiama allo scetticismo e che Agostino aveva anticipato, cioè liberarsi attraverso il dubbio di tutte le false conoscenze, o meglio di tutte quelle conoscenze che non sono in grado di giustificare e fondare sé stesse. Il cammino della riduzione procede dall’esterno all’interno, e si arresta dinanzi alla trasparenza della C. nell’atto del pensare, e quindi dello stesso dubitare. La verifica viene da un atto intuitivo che ciascuno è in grado di ripetere: la C. è dunque immediata, intuitiva, non ulteriormente riducibile, evidente, e come tale è il principio di verità da cui è possibile dedurre ogni altra verità, dall’esistenza stessa dell’io (cogito ergo sum) ai criteri di chiarezza e distinzione sui quali si costruisce la scienza universale. Cartesio opera poi il passaggio dalla C. alla validità del mondo esterno attraverso l’idea di Dio, che diviene così l’effettiva garanzia della costruzione scientifica. Attraverso l’evidenza, confermata dal fatto che Dio in quanto perfetto non si può ingannare, è possibile intuire le verità matematiche e fisiche, come conoscenze innate alla mente (razionalimo), ed avere la certezza del mondo esterno (res extensa). Cartesio giunge così ad una concezione sostanzialistica ed innatistiva della C., la quale viene radicalmente criticata nel secolo successivo da tutta la corrente empiristica. Hume in particolare nega l’io personale, e con esso ogni vita interiore autonoma del soggetto, opponendosi fermamente al razionalismo della C. come principio di verità. Di conseguenza l’empirisno inglese riduce la C. ad un teatro in cui vengono a disporsi le impressioni del mondo esterno, ed in cui si formano, attraverso legami accidentali governati dall’abitudine, le idee a posteriori. Il tema cartesiano è ripreso vigorosamente da Kant, che lo risolve in senso trascendentale: in particolare Kant tenta di trasformare il sostanzialismo razionalistico in una teoria dell’esperienza che sia a posteriori, per il fatto che i fenomeni sono un materiale irrinunciabile per la conoscenza, e nello stesso tempo a priori per il fatto che il materiale fenomenico può essere conosciuto solo entro certe condizioni (forme trascendentali e categorie) poste dal soggetto stesso. Criticando l’innatismo, Kant porta a conclusione il progetto di una scienza universale fondata soggettivamente. In seguito l’idealismo vede nella C. e nell’autocoscienza dei semplici gradi della fenomenologia dello spirito, mentre il positivismo considera la filosofia della c. entro l’ambito della metafisica, ambito di cui il sapere scientifico deve liberarsi. Nel novecento troviamo invece due posizioni che forniscono sviluppi originali al tema della C., l’intuizionismo di Bergson e la fenomenologia di Husserl. Il primo torna ai dati immediati della C. ed all’intuizione come forma più perfetta di conoscenza, contro lo psicologismo positivistico degli stati coscienziali: la vita della C. si costituisce come temporalità (durata) e non è riducibile entro schemi spazializzati o comunque solidificati; come tale essa non è traducibile in idee od in una scienza positiva della C. l’esito husserliano è in certo senso opposto a quello di Bergson, nella misura in cui Husserl cerca di costituire una scienza rigorosa fondata sul cogito, e quindi recupera per intero le indicazioni di Cartesio: il metodo fenomenologico dell’epochè (epoch) ripercorre il cammini cartesiano del dubbio, badando però di non incorrere nelle assunzioni sostanzialistiche cui quelle si era esposto. Husserl non pone perciò il cogito né come sostanza né come esistenza, ma come semplice polo internazionale, attività donatrice di senso; trascendentale non è in tal modo l’ambito dell’a priori, come in Kant, ma il terreno di fondazione che si dispiega di fronte al soggetto allorché si sia liberato di tutte le incrostazioni naturalistiche, un terreno che Husserl definisce Lebenswelt (mondo della vita), ed il cui carattere si apre alla intersoggettività. Collegata tanto alla tradizione cartesiana quanto all’analisi fenomenologica, è la posizione esistenzialistica di Sartre: egli vede la C. contrapposta all’essere, cioè come attività nullificante ed irrealizzante, fonte di progetto e di libertà. Ma insieme condanna dell’uomo a restare prigioniero in una continua ricerca del positivo. L’attuale atteggiamento della scienza evidenzia ancora grosse perplessità sull’argomento. Il filosofo Colin McGinn sostiene che il problema resta insolubile, perché l’essere umano è fatto in modo da non poter capire come gli stati di C. dipendano dagli stati cerebrali. Daniel Dennett afferma invece che C. è solo il nome che la gente ignorante dà ad un tipo di interazioni elettriche e chimiche che spiegano bene come lavori il cervello, e fanno quindi svaporare la questione principale del perché lavori. Significativa la dichiarazione rilasciata da Patrick Wilken, presidente australiano dell’Association for Scientific Study od Consciousness, al termine di un lungo dibattito in una conferenza sulla C. tenutasi a Tucson, presso l’università dell’Arizona: "Cosa stiamo cercando di fare qui se non di creare un’anima? Chiaramente non siamo né pura astrazione né pura macchina. Ma è evidente che siamo entrambe le cose, o perlomeno che l’uomo sia un animale che si comporta come se lo fossimo".

Cosmo: Dal greco cosmoz, è sinonimo di mondo. In filosofia è oggetto di una grande quantità di ipotesi e di interpretazioni, fin dalla più antica speculazione orientale. Più specificatamente il termine è usato per indicare la totalità dei fenomeni: in Kant il concetto cosmico o cosmologico fa parte delle idee trascendentali della ragione, insieme a quella dell’anima e di dio, ed indica il C. come insieme complessivo dei fenomeni che costituiscono l’esperienza.

Cosmogonia: Termine derivato dal greco cosmogonia, da cosmoz, universo, e gonia, generazione. Mito o dottrina che forniscono una interpretazione dell’origine e della formazione dell’universo. Presso le culture primitive l’Essere Supremo assume perlopiù il carattere di facitore, o quanto meno di demiurgo foggiatore dell’universo: per le popolazioni oceaniche delle isole Marshall è un dio ad evocare le creature e le cose, nominandole mentre emergono dalle acque del mare (l’oceano primigenio). Per i Nahuru (indigeni della Micronesia)è la lumaca a penetrare nella conchiglia primigenia (altrove un uovo) ed a schiuderne le valve; per una metamorfosi cosmica la lumaca div4enta la luna, e le due valve (superiore ed inferiore) il cielo e la terra. Nelle Caroline un albero, nato dal cielo, con in alto le radici ed in basso i rami, genera dai rami gli esseri umani. Secondo i Polinesiani, dal caos originario (Po) si libera un’entità indeterminata, dotata di movimento, dalla quale si generano, attraverso un processo di differenziazione e di frazionamento, luce, calore ed umidità, e da questi terra e cielo, da cui, a loro volta, derivano tutti gli esseri e le cose. Molte tribù indiane del Nord America hanno elaborato C. particolarmente evolute: gli eroi scendono dal cielo e ricostruiscono la terra distrutta dal diluvio, valendosi dell’aiuto di animali (castoro, biscia, scimmia, ecc.) che diventano poi i totem (v.) delle varie tribù. Queste C. aprono ampie prospettive sulla possibile ed ipotizzata origine extraterrestre della vita. Quindi generalmente i miti cosmogonici primitivi si differenziano tra loro nelle tre diverse concezioni di evoluzione, emanazione e creazione vera e propria. Nelle teorie cosmogoniche egiziane, specie nella forma eliopolitana, come anche presso i Fenici, prevale il concetto di separazione fra cielo e terra, tratti dal dio fuori dalla materia primordiale. Per i Sumeri la divinità forma l’universo con materia preesistente, assegnando a dei e creature un posto nell’universo stesso. Il primo mito cosmogonico pervenutoci sotto forma di poema, l’Enuma elish babilonese, parla di Marduk che, annientata l’orrenda Tiamat, il caos, la taglia poi in due parti: nell’abisso (apsü), in alto, sta il cielo, con la sede della dea delle acque Ea; in basso la terra (Esharra), con gli dei del cielo e della terra Anu ed Enlil. La C. iranica è rigidamente dualistica; Ahura Mazdah (od Ormazd), il dio buono, eterno, onnisciente; Ahriman, il dio malvagio, anch’esso eterno, ma di conoscenza limitata. Il primo crea, oltre agli esseri angelici, il mondo materiale: acqua, terra, piante, animali, il primo uomo Gayömarth. A questa creazione si oppone Ahriman con i suoi demoni: ma soltanto Ormazd sa, nella sua prescienza, che a lui spetterà la vittoria finale. La C. cinese non parla di creazione, facendo nascere da due elementi naturali maschile e femminile il primo uomo P’an-ku, che considera come ordinatore del caos e creatore dell’universo: il suo soffio si trasforma in vento, la sua voce in tuono, i parassiti del suo corpo diventano il genere umano. Il poema indiano Rg-Veda (v.) considera un principio maschile ed uno femminile; gli dei, sacrificando Purusa (maschile), detto anche Prajapati o Brahmanapati, creano l’universo differenziato; dalle varie parti del corpo di Purusa nascono le quattro caste (Brahman, Ksatriya, Vaisya e Sudra), il sole, la luna, i grandi dei (Indra, Agni, ecc.). Un’altra versione di questo mito fa uscire Purusa direttamente da un uovo d’oro. Anche per l’orfismo greco, "nel grembo infinito di Erebo la Notte dalle nere ali partorì l’uovo senza germe", da cui nacque Eros, e poi dei e uomini. Nelle Upanisad vengono ulteriormente sviluppate, con contributi logico-filosofici, le stesse concezioni cosmogoniche: dal "non essere" si genera l’"essere", da cui nasce un uovo che genera la terra, il cielo, ecc.; l’"io" (brahman o atman) si divide in due parti (maschio e femmina), da cui nascono poi tutti gli uomini. La C. ebraica, contenuta nel primo libro dell’Antico Testamento, si riallaccia ai miti assiro-babilonesi (anche nella leggenda dell’arca di Noé), insistendo tuttavia sulla creazione dal nulla e per diretto intervento divino (Genesi), in una scansione di sei giorni (il settimo Dio si riposò). L’antropomorfismo della divinità è particolarmente evidente nei primi capitoli biblici. Presso i Greci una razza gigantesca di Titani semidei popola la terra; l’uomo nasce dalle pietre (mito di Deucalione e Pirra). I principali momenti teocosmogonici (v. anche teogonia), secondo la tradizione esiodea (VII secolo a.C.), si scandiscono essenzialmente così: l’origine del mondo (cosmoz) fuori dal caos (caoz), lo spazio cosmogonico vuoto ed informe, la creazione della terra operata con un atto di libera volontà da un dio demiurgo (dhmiourgoz), la nascita di Zeus, la lotta con i Titani (Titanomachia) precipitati poi nel Tartaro, le storie di Giapeto, Prometeo ed Epimeteo, la genealogia degli eroi che fanno da tramite agli "uomini mortali" (dnhtoi brota).

Cosmologia: Discorso sul mondo, studio dell’universo, in particolare della sua evoluzione, degli stati passati e futuri, e delle relative leggi. La C. moderna nasce dall’applicazione ad opera di Einstein (1917) della relatività generale ai dati sull’universo forniti dalle singole scienze. Le teorie cosmologiche più seguite pongono a 10-15 miliardi di anni fa l’origine dell’universo, quando tutta la massa, lo spazio ed il tempo erano concentrati in un punto (singolarità spazio-temporale). L’universo cominciò allora a dilatarsi in seguito ad una grande esplosione (Big Bang) che, secondo alcuni studiosi, prosegue tuttora.

Cosmopolitismo: Termine derivato dal greco cosmopolithz, formato da cosmoz, mondo, e polithz, cittadino. Designa l’atteggiamento culturale che porta alla negazione della propria matrice nazionale a vantaggio di una compartecipazione a valori mondiali. Esso fu affermato nell’antichità dai filosofi greci della scuola stoica, in contrapposizione alla frammentazione ed al particolarismo greco. Un significato diverso del C. si ha nell’impero romano, in cui esso è funzionale alla volontà di egemonia mondiale di Roma. In epoca moderna il C. è conseguenza della concentrazione internazionale del capitale, nonché del significato sempre minore delle barriere nazionali.