Cielo:  Termine indicante lo spazio accessibile all'osservazione terrestre, limitato solo dall'orizzonte. Nell'antichità si credeva che fosse costituito da una volta solida in cui fossero incastonate le stelle. Poiché però alcuni corpi celesti, i pianeti, su muovono rispetto alle stelle considerate fisse, fu supposta l'esistenza di più C. trasparenti. Solo in epoca copernicana il C. perse il suo significato metafisico per assumerne uno più strettamente fisico. Lo studio scientifico del C. risale alla più remota antichità, e prende il nome di astronomia.  Y  (Religione): L'osservazione del C. favorisce da millenni la formazione di miti e credenze religiose. Esso costituiva un mondo simile alla terra, con cui i primitivi lo consideravano unito saldamente, mentre la separazione del C. dalla terra fu oggetto di numerosi miti cosmogonici. Il binomio terra-C- appare in Nuova Zelanda, nell'America settentrionale, in Africa ed in Egitto. Qui la dea del C., Nut (v.), ed il dio della terra, Geb (v.), vengono separati dal dio dello spazio, Shu (v.). Il concetto del C. e della terra come due mondi simili ma separati, è il presupposto di miti in cui esseri divini scendono sulla terra dal C. attraverso l'arcobaleno, visto come ponte o fune, oppure eroi divinizzati vi salgono scalando un albero che giunge fino ad esso, o passando attraverso l'orizzonte, confine tra i due mondi. Anche i popoli più antichi possedevano la nozione di un essere inteso come creatore. In Australia veniva venerato Baiame, che accoglieva in C., dove risiedeva, gli spiriti dei buoni e, attraverso la pioggia, era considerato il creatore di quanto prodotto dalla terra. Esseri celesti onniscienti e onniveggenti che si manifestano mediante fenomeni meteorici, si riscontrano anche in Africa, Indonesia, America settentrionale, Asia ed Europa. Anche se in tali esseri sono intervenuti aspetti diversi, come quello solare, lunare o meteorico, essi hanno in comune la residenza in C. e l'essere generatori di tutti i fenomeni (vento, tuono, fulmine, ecc.) che in esso si producono. La loro onnipresenza ed onniscienza vengono applicate alla condotta degli uomini, sui quali esplicano un'azione punitiva di carattere etnico. Quindi in genere il dio principale delle religioni politeistiche è un dio del C. Nelle religioni ariane la divinità primordiale è collegata al C. sereno e luminoso (connessione attestata dal legame filologico che intercorre fra le denominazioni delle varie divinità celesti, come l'indiano Dyaus, il greco Zeus, l'italico Juppiter ed il germanico Tyr, tutte derivanti dalla comune radice sanscrita div, luce o giorno), anche se talvolta oltrepassa i limiti di una semplice teofania celeste, come accade nel dio sovrano dei testi vedici., Varuna (v.). Nelle culture indo-ariane la natura celeste degli dei supremi subisce una svalutazione. Infatti in Zeus prevale la funzione di custode della legge e dell'ordine, anche se il dio è fornito di attributi celesti quali la folgore. Nell'Antico Testamento il divieto di pronunciare il nome di Dio portò all'uso dell'espressione «regno dei C.» (malkuth shammaim), in forma equivalente a «regno di Dio», espressione spesso usata dallo stesso Cristo (Matteo 13, 31-52). Nella religione cristiana il termine C. viene usato come sinonimo di Dio (il detto volesse il C.) o come dimora di Dio e dei beati. Infine nella religione cattolica il C. citato dalle Sacre Scritture rappresenta la collocazione elevata e superiore propria di Dio, alla quale approdano definitivamente i salvati. È in questo senso che i testi liturgici si rivolgono a Dio che risiede nei C., oppure dichiarano la fede in una vita eterna nei C., accanto a Dio. Una dottrina presente nel sincretismo dantesco, e definita fin dal 1336 da papa Benedetto XII per il quale la parola C. indica la vita eterna. 

Clericalismo: Orientamento ideale e pratico che difende posizioni conquistate dal clero, in contrapposizione alla società laica ed alla sua logica sociale complessiva. Dunque esso tutela le posizioni della Chiesa, non solo dal punto di vista dei suoi interessi economici, ma anche da quello della sua egemonia od influenza culturale e politica, con un’accentuazione generale di tipo conservatore. Nel Risorgimento italiano il C. è alleato al potere temporale, in posizione di ostilità all’unità italiana. Dopo l’unità d’Italia, esso solleva la "questione romana", e si batte affinché i cattolici non partecipino alla vita politica del nuovo stato. Il C. ottocentesco trova la sua più compiuta espressione nelle direttive formulate dal Margotti (1863), tramite il "non expedit", e sarà superato solo con l’autorizzazione di Benedetto XV ai cattolici di aderire al partito Polare italiano fondato nel 1919. Da allora il termine C. è usato con una accezione molto attenuata. Con l’affermarsi della società capitalistica avanzata, diminuendo l’importanza dei centri di potere marginali su cui il C. tradizionalmente si basava, esso subisce una modifica, e tende a a non presentarsi più di per sé come tendenza "pura", ma ad accompagnarsi a correnti più genericamente conservatrici.

Clero: Dal greco clhroz, sorte, parte ottenuta in sorte. Nella comune accezione indica il complesso delle persone appartenenti all’ordine sacerdotale. Il C. cattolico si distingue in C. secolare, comprendente tutti i normali sacerdoti dipendenti dal loro Ordinario, che hanno professato il solo voto di castità che gli impone il celibato; C. regolare che comprende i religiosi appartenenti ad Ordini religiosi e Congregazioni, i quali hanno pronunciato i tre voti di castità, povertà ed obbedienza. All’inizio del cristianesimo il termine C. indicava tutto il popolo cristiano, considerato come il popolo eletto (I Pietro 5, 3), donde la stretta etimologia dalla parola greca clhroz; ma già nel III secolo il termine C. è usato per indicare coloro che sono addetti al servizio del culto (Tertulliano, Origene, San Girolamo). Durante il periodo feudale, e fino alla Rivoluzione francese, il C. costituiva uno dei tre stati in cui era divisa la società. Il C., pur non costituendo una casta formalmente distinta dal resto del popolo, ha sempre goduto di privilegi speciali, aboliti dalla rivoluzione francese e, per quanto riguarda l’Italia, dalle leggi Siccardi (1850), ma che furono in parte ripristinati nei tempi successivi attraverso vari concordati conclusi dalla Santa Sede con le varie nazioni.

Cicerone: Marco Tullio (dal latino Marcus Tullius Cicero), oratore e uomo politico romano (106-43 a.C.), fu il più alto rappresentante della cultura dell’ultima età repubblicana, nonché uno dei maggiori esponenti dell’intera letteratura latina. Nato da famiglia equestre, C. cominciò i suoi studi a Roma, alla scuola di Molone da Rodi. Nelle discipline giuridiche gli fu maestro Muzio Scevola, ed in quelle filosofiche Filone. Dal 79 al 77 fu in Grecia e poi in Oriente, dove frequentò le lezioni di Fedro e di Antioco d’Ascalona. Rientrato a Roma, iniziò la carriera politica e quella di oratore, strettamente legata alla prima. Nel 75 fu eletto questore in Sicilia, e cinque anni più tardi i siciliani lo chiamarono a sostenere la loro causa contro l’ex governatore Claudio Verre, colpevole di malversazioni. C. pronunciò solo la prima requisitoria (Actio I in Verrem, preceduta dalla Divinatio in Q. Caeciliun): questo fu sufficiente a far desistere dalla difesa il grande Ortensio, il patrono di Verre, che scelse l’esilio volontario. Nel 69 C. fu edile curule, nel 66 pretore e, finalmente, nel 63, console. Con il potere che gli veniva dalla carica, operò una dura repressione contro i responsabili della congiura di Catilina (v.), e fu salutato dal Senato come padre della patria. Ma le basi dell’oligarchia di cui C. s’era fatto sostenitore cominciavano a vacillare, e nel 58 la reazione democratica si manifestò con una legge del tribuno Clodio Pulcro, che condannava all’esilio chi avesse emanato sentenze capitali senza il giudizio del popolo, come aveva appunto fatto C. nei confronti dei seguaci di Catilina. L’oratore si trasferì in Grecia, ma fu poi richiamato in patria, dove riprese l’attività politica coprendo nel 51 la carica di governatore in Cilicia. Ritornò a Roma nel 50, schierandosi dalla parte di Pompeo. Ma dopo la battaglia di Farsalo (48) si ritirò a Brindisi a vita privata, ed anche allorché rientrò a Roma nel 47 dopo aver ottenuto il perdono di Cesare, si dedicò esclusivamente ai suoi studi, tributando a Cesare varie lodi attraverso le sue orazioni (Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege deiotaro). Dopo l’assassinio di Cesare, ritornò sulla scena politica contro Antonio, che attaccò duramente nelle 14 Filippiche e quando si costituì il secondo triunvirato, fu colpito dalla vendetta di Antonio. Nel dicembre del 43 a.C. fu ucciso dai sicari di Antonio presso la sua villa di Formia. Gli esercizi poetici composti da C. sono andati quasi tutti perduti, tranne Brutus, il Nilus, ed i più tardivi De consulato meo e De temporibus meis. Furono tutti tentativi non certo felici. Eccezionale invece il valore delle sue orazioni. Delle 58 pervenuteci, oltre a quelle già citate ricordiamo: tre orazioni De lege agraria, di contenuto politico; le quattro Catilinarie (v.), il capolavoro di C.; Pro Archia; De domo sua ad Pontifices, contro i Clodiani; Pro Marco Caelio e In L. Carpundium Pisonem, interessanti per la storia del costume dell’epoca; Pro Milone, l’uccisore di Clodio, ma il processo ebbe esito infelice. Il pregio di queste orazioni consiste nel fatto che C. le considerò opere letterarie, e non come mero strumento per vincere una causa. Sono quindi capolavori di perfezione nello stile, nelle clausole metriche, nel perfetto equilibrio fra lo stile ampolloso della retorica detta asiana e quello scarno e severo della scuola attica, le due correnti che allora si contendevano la palma dell’arte oratoria. C. impose uno stile personalizzato, una via di mezzo fra le due tendenze, e questa sua continua ricerca della perfezione formale è esemplificata anche nei trattati di retorica che scrisse: De inventione, De oratore, il Brutus (una storia dell’eloquenza romana), l’Orator (sullo stile oratorio), ed altri minori. C. scrisse anche opere filosofiche, quasi esclusivamente in forma di dialogo: De republica (in sei libri, esaltazione dello Stato romano); De legibus, sulla storia del diritto; Paradoxa Stoicorum; De finibus honorum et maluorum, gli Academia sulla conoscenza; le Tusculanae Disputationes in 5 libri, sulla morte ed il dolore; Cato maior sive de senectute, in cui è introdotto Catone a parlare sulla vecchiaia; Laelius sive de amicitia; De divinatione e De fato, sulle teorie degli stoici relative al destino; De officiis in 3 libri dedicati al figlio marco, sull’utile, l’onesto ed i rapporti tra essi. Tutte opere di straordinario valore, sia per il carattere divulgativo con cui C. cercava di trasmettere ai Romani una vastissima formazione culturale in un periodo in cui anche la tradizione greca si imponeva con forza, sia per la perfezione della prosa, che raggiunge qui i vertici più elevati. Infine ricordiamo l’Epistolario, composto di quattro gruppi di lettere, Ad familiares (16 libri), Ad Atticum (16), Ad Quintum fratrem (3), Ad Brutum (9): interessantissimo documento di vita e di costume, nonché della comune parlata quotidiana, è il ritratto di un uomo e di un letterato la cui personalità, pur con gli inevitabili difetti e debolezze, si impone come una delle più significative di tutta la letteratura antica.

Cincinnato: Lucio Quinzio (dal latino Lucius Quinctius Cincinnatus). Personaggio dell’antica storia romana (V secolo a.C.). Dittatore nel 458 a.C., combatté contro gli Equi. Una successiva leggenda popolare racconta come C., sconfitti i nemici, fosse ritornato al proprio podere sdegnando ogni onore- La tradizione infine evidenzia l’umiltà del personaggio attraverso un episodio avvenuto nel 439, quando il pericolo incombente sulla Repubblica fece accorrere una delegazione del Senato romano al podere di C., cui intendevano offrire una seconda dittatura, sorprendendolo mentre guidava personalmente i suoi buoi aggiogati all’aratro.

Cinque: Un numero che simboleggia la vita universale, l’individualità umana, la volontà, l’intelligenza, l’ispirazione e la genialità. Si tratta di un numero eminentemente umano, e come tale simbolicamente suscettibile di deviazione dall’ordine spirituale che gli conferisce invece valenze positive. Tale deviazione ha luogo allorché l’individualità e la vitalità in esso implicate, deducibili dal riferimento ai cinque sensi ed all’articolazione quinaria dell’essere umano nella raffigurazione leonardesca, pretendono di staccarsi dall’Uno per diventare autocentriche. Secondo il de St. Martin il C. diviene allora un quaternario eccentrico, o falsato da un doppio centro, ovvero un simbolo iterativo della natura dissociata o decaduta. Lo squilibrio potenziale tipico del numero C. si rileva anche nella sua scomponibilità in Due più Tre, così come le sue valenze creative possono essere lette nella somma 1 + 4, indicatrice della discesa immediata dell’Unità nel Quaternario, una discesa imprevedibile che produce l’ispirazione e la genialità. Y (Massoneria) Il numero C. contraddistingue il grado Di Compagno d’Arte, rappresentante l’affinamento vitale, lo sforzo creativo individuale e la perseveranza. V. anche Pentalfa.

Circoncisione: Termine derivato dal tardo latino circumcidere, tagliare intorno, in greco peritomh, in ebraico nulah. È una mutilazione rituale operata su individui di sesso maschile, e consistente nella parziale o totale asportazione del prepuzio. L’usanza della C. è diffusa nell’Asia semitica, in molte zone dell’Africa, dell’Oceania e dell’Australia, nonché in alcune parti del continente americano. Nelle società arcaiche viene praticata a suggello dell’ingresso dei giovani nell’età adulta. Rientra pertanto nel dominio delle cerimonie di iniziazione (v.). Fra gli Ebrei ortodossi etra i seguaci della fede islamica, la C. è praticata invece sui neonati o sui bambini molto piccoli (secondo la legge vetero-testamentaria, all’ottavo giorno dopo la nascita (Genesi XVII, 9 e segg.). Sino a poco tempo addietro si credette che a fondamento di tale costume vi fosse l’idea di una sorta di offerta primiziale ad un’entità capace di assicurare la procreazione umana, come la fecondità dei campi. Oggi appare più verosimile l’ipotesi che detta mutilazione abbia sempre rappresentato in sacrificio purificatorio, non privo di risvolti igienici. Non a caso, nel passo biblico succitato, la C. è intesa come il segnacolo fisico del patto fra Dio e la stirpe di Abramo. Anche Gesù venne circonciso (Luca 2, 21). Corrispettivo della C. è la clitoridectomia (v.), effettuata su fanciulle, tipica della cultura dell’antico Egitto, ed attualmente in uso in Arabia, in Africa orientale e nel golfo della Guinea.

Cirillico: Alfabeto di origine paleoslava, tuttora in uso fra le popolazioni aderenti alla Chiesa ortodossa, che si sostituì al precedente alfabeto gragolitico (v.) per la sua maggiore semplicità. Nell’alfabero C., attribuito al monaco Cirillo (v.), ma più probabilmente ideato da uno dei suoi seguaci del IX-X secolo, la forma delle lettere si avvicina a quella delle lettere maiuscole (onciali) dell’alfabeto greco, con alcune alterazioni ed integrazioni derivanti dalla particolare fonetica, assai ricca, delle lingue slave. Sotto Pietro il Grande vennero introdotti nel C. i caratteri profani (grazdanskij srift) per gli usi civili (1707). Questo C. modernizzato fu assunto, con gli opportuni adattamenti, anche da Ucraini, Serbi e Bulgari, e fino al XIX secolo dai Romeni, che poi optarono per l’alfabeto latino. Dopo la rivoluzione comunista, con decreto del 23.12.1917, fu varata l’ultima riforma ortografica, che eliminò alcune lettere divenute ormai inutili per la moderna fonetica russa.

Cirillo e Metodio: Monaci missionari bizantini (Cirillo: Salonicco, 827 – Roma, 869 - Metodio: Salonicco, 815 - Sirmio, Moravia, 885). Fratelli, figli di un magistrato, furono istruiti presso la corte di Bisanzio. Incaricati dall’imperatore (860) di una missione politico religiosa presso i Chazari, riuscirono a convertire molti pagani. Su richiesta del principe moravo Rostislao, furono inviati dall’imperatore in Moravia (863) per predicarvi il Vangelo. C. tradusse in lingua paleoslava testi liturgici e molti libri biblici: gli è pure attribuito l’alfabeto cirillico (v.). Accusati di eresia dal clero tedesco, per questo uso liturgico della lingua paleoslava, dovettero recarsi a Roma per discolparsi. Il papa Adriano II approvò (867) l’uso della lingua slava nella liturgia e, morto C. in Roma, nominò M. vescovo di Sirmio, in Moravia. Questi, nonostante l’accanita opposizione del clero tedesco, organizzò una gerarchia ecclesiastica autonoma, del tutto sottratta all’influenza dell’imperatore germanico.

Cistercensi: Ordine religioso il cui nome deriva da Cistercium (Citeaux) dove nel 1098 fu fondata da Roberto di Molesmes la prima abbazia, dopo essersi staccato da Cluny con alcuni compagni monaci per riprendere l’osservanza dell’antica austera regola benedettina, rilassatasi nell’ordine cluniacense. Il maggior sviluppo dei C. coincise con la venuta di Bernardo di Chiaravalle (1112, v.), che diede impulso alla diffusione dell’ordine in tutta l’Europa. Le abbazie C. si moltiplicarono ovunque, tanto da risultare ben 530 alla fine del XII secolo, e 700 alla fine del XIII. La loro prima costituzione (Charta Caritatis) fu redatta dall’abate Harding (1119) e subito confermata da Callisto II. Seguendo la tradizione benedettina, i C. furono grandi colonizzatori, tanto da meritarsi un posto preminente nella storia dell’economia agraria medievale. Le abbazie C. erano autonome, ma dovevano operare sotto il controllo delle proprie abbazie fondatrici, che a loro volta erano vigilate da un consiglio composto dall’abate di Citeaux (Padre Generale dell’Ordine) e dagli abati delle quattro abbazie madri. Dopo un crescente sviluppo, con apogeo nel XIV secolo, l’ordine C. cominciò a decadere, allontanandosi dalla regola primitiva. Lentamente si staccarono varie piccole congregazioni con tendenze riformatrici, finché la riforma della Trappa (1664) creò una totale divisione fra i C. dell’osservanza comune ed i C. dell’osservanza primitiva (trappisti). Attualmente l’ordine consta di otto diverse congregazioni: austriaca, elvetico-germanica, italica, belga, gallica, ungarica, boema e casamari, con un complesso di 63 monasteri e di circa 1500 religiosi. Y (Architettura) Il ritorno alla semplicità assoluta, auspicata da San Bernardo, che con la sua predicazione propugnava l’eliminazione di ogni decorazione, sia scultorea che pittorica, estranea al suo ideale in quanto fonte di distrazione dalla preghiera, si concretizza anche nei complessi architettonici, in cui i C. si rifecero alla tipologia monastica già in vigore: la chiesa, di solito dedicata alla Madonna, era orientata tradizionalmente da E. ad O., con l’abside maggiore di forma rettangolare e, almeno nei primi esempi, senza deambulatorio; la navata centrale con copertura a botte, transetto con non più di due cappelle quadrangolari, completamente prive di decorazioni, sia all’interno che all’esterno; il chiostro coperto anch’esso con volte a botte, le sale capitolari, il refettorio, i dormitori o cellarii completavano il complesso. Tale architettura venne introdotta dai monaci C. anche in Italia, nelle regioni settentrionali, nel Lazio ed in Toscana.

Citrinitas: Termine con cui viene identificata la quarta ed ultima fase del processo alchemico, denominata opera al giallo. Complementare a Nigredo, Albedo e Rubedo (v.), si ottiene agendo sul rosso con il Fuoco, il che rende manifesto l’occulto. Così si produce lo zolfo filosofico, di colore citrino (giallo intenso), una terra tenue, estremamente ignea e secca, contenente un fuoco esuberante che è stato perciò definito fuoco della pietra. Essa ha la proprietà di aprire, di penetrare il corpo dei metalli, e di mutarli nella sua stessa natura, facendolo chiamare padre, semenza o sperma mascolini. Associata all’elemento Aria, all’Estate ed al giorno pieno, definiva la Xantosi. Con l’avvento dell’era cristiana, venne trascurata per evidenti esigenze trinitarie.

-Civetta: Uccello strigiforme della famiglia degli strigidi, che nidifica nell'Europa centrale e meridionale, ed in parte dell'Asia e dell'Africa. È una predatrice notturna che predilige soprattutto i topi. La C. è dotata di ali corte che le permettono un volo rapido ma soltanto diritto. Era l'uccello sacro ad Atena, quale simbolo di vigilanza, e come tale è effigiato in molte antiche monete greche.

Clemente V: Al secolo Bertrand de Got (?-1314), nominato papa nel 1305 come successore di Benedetto XI, morto misteriosamente come il suo predecessore. Vescovo di Comminges e poi arcivescovo di Bordeaux, fu eletto nel corso del lungo conclave di Perugia come uomo di compromesso, essendo sempre stato ossequiente verso Bonifacio VIII (v.) ed amico di Filippo IV il Bello (v.), ispiratore dell’attentato di Anagni (v.).C. non venne mai in Italia, avendo inaugurato il periodo avignonese, detto cattività. Venne incoronato a Lione alla presenza del re di Francia, di cui fu sempre succube, provvedendo subito a decretare numerose nomine di cardinali francesi, che li fecero prevalere nel Sacro Collegio. C., aderendo alle insistenti richieste di Filippo, canonizzò papa Celestino V (v.) ed iniziò il processo alla memoria di Bonifacio VIII (v.). Anche la soppressione dei Templari (v.) fu voluta da Filippo, che bramava impossessarsi delle ingenti ricchezze dell’Ordine. In Italia appoggiò Roberto d’Angiò, che divenne capo del partito guelfo. In campo religioso celebrò il Concilio di Vienne (1311-12) le cui decretali, dette Clementine, furono incluse nel Corpus Iuris Canonici. Concluse l’annoso dissidio fra l’ordine francescano e gli Spirituali. Le sue disposizioni testamentarie favorivano in modo così eccessivo l’estesa parentela che provocarono un processo voluto dal suo successore Giovanni XXII.

Clemente XII Al secolo Lorenzo Corsini (1652-1740), nominato papa nel 1730 come successore di Benedetto XIII. Arcivescovo titolare di Nicomedia, fu creato cardinale da Clemente XI (1706). Eletto papa a 79 anni, allontanò subito il cardinale Coscia, favorito dal suo predecessore e particolarmente inviso ai Romani. Ebbe complesse controversie giurisdizionali con il ministro Tanucci a Napoli, con la Spagna, con la Francia e con Carlo Emanuele III di Savoia. Risollevò lo scaduto decoro della corte pontificia sopprimendo molti abusi. A lui si deve la prima scomunica della Massoneria, decretata con la bolla In Eminenti del 28 aprile 1738. Sotto l’aspetto artistico il suo breve pontificato fu molto produttivo. Egli fece edificare la facciata principale della basilica lateranense, e vi fece costruire nell’interno la fastosa cappella Corsini, dov’è tuttora sepolto. Fece infone innalzare la facciata di San Giovanni dei Fiorentini, opera dell’architetto Alessandro Galilei.

Clericalismo: Orientamento ideale e pratico che difende posizioni conquistate dal clero, in contrapposizione alla società laica ed alla sua logica sociale complessiva. Dunque esso tutela le posizioni della Chiesa, non solo dal punto di vista dei suoi interessi economici, ma anche da quello della sua egemonia od influenza culturale e politica, con un’accentuazione generale di tipo conservatore. Nel Risorgimento italiano il C. è alleato al potere temporale, in posizione di ostilità all’unità italiana. Dopo l’unità d’Italia, esso solleva la "questione romana", e si batte affinché i cattolici non partecipino alla vita politica del nuovo stato. Il C. ottocentesco trova la sua più compiuta espressione nelle direttive formulate dal Margotti (1863), tramite il "non expedit", e sarà superato solo con l’autorizzazione di Benedetto XV ai cattolici di aderire al partito Polare italiano fondato nel 1919. Da allora il termine C. è usato con una accezione molto attenuata. Con l’affermarsi della società capitalistica avanzata, diminuendo l’importanza dei centri di potere marginali su cui il C. tradizionalmente si basava, esso subisce una modifica, e tende a non presentarsi più di per sé come tendenza "pura", ma ad accompagnarsi a correnti più genericamente conservatrici.

Clero: Dal greco clhroz, sorte, parte ottenuta in sorte. Nella comune accezione indica il complesso delle persone appartenenti all’ordine sacerdotale. Il C. cattolico si distingue in C. secolare, comprendente tutti i normali sacerdoti dipendenti dal loro Ordinario, che hanno professato il solo voto di castità che gli impone il celibato; C. regolare che comprende i religiosi appartenenti ad Ordini religiosi e Congregazioni, i quali hanno pronunciato i tre voti di castità, povertà ed obbedienza. All’inizio del cristianesimo il termine C. indicava tutto il popolo cristiano, considerato come il popolo eletto (I Pietro 5, 3), donde la stretta etimologia dalla parola greca clhroz; ma già nel III secolo il termine C. è usato per indicare coloro che sono addetti al servizio del culto (Tertulliano, Origene, San Girolamo). Durante il periodo feudale, e fino alla Rivoluzione francese, il C. costituiva uno dei tre stati in cui era divisa la società. Il C., pur non costituendo una casta formalmente distinta dal resto del popolo, ha sempre goduto di privilegi speciali, aboliti dalla rivoluzione francese e, per quanto riguarda l’Italia, dalle leggi Siccardi (1850), ma che furono in parte ripristinati nei tempi successivi attraverso vari concordati conclusi dalla Santa Sede con le varie nazioni.

Clero autonomo:  Termine indicante il clero indigeno dei Paesi di missione, istituito all'epoca delle grandi spedizioni missionarie francescane e domenicane del XIII secolo. Nel 1318 l'antipapa Giovanni XXII istituì una gerarchia ecclesiastica autonoma in Persia; nel 1518 a Lisbona vennero ordinati i primi sacerdoti negri; i Francescani nel 1536 istituirono un collegio per la formazione del C. indigeno a Tlateloico, in Messico. In seguito la formazione del C. venne affidata alla Santa Congregazione di Propaganda della Fede che, attraverso una continua ed instancabile opera caratterizzata dalla creazione di seminari, ha sviluppato il clero e l'episcopato indigeno. Nel XX secolo i pontefici Benedetto XV e Pio XI, con le rispettive encicliche Maximum illud (1919) e Rerum Ecclesiae (1926) ribadirono la necessità di affidare l'opera missionaria di evangelizzazione al C. Attualmente prelati di ogni razza e paese fanno parte del Collegio Cardinalizio.

Clessidra: Dal greco cleyudra, rubo acqua, è un antico strumento per la misurazione del tempo. Si compone di due vasi comunicanti, uni dei quali contenente acqua o sabbia si svuotava gradatamente nell’altro. La valutazione del tempo trascorso era data dalla quantità di acqua o sabbia passata nel vaso sottostante. Forse inventata dai Babilonesi, la C. passò poi agli Egiziani, che ne fecero uso soprattutto notturno, quando non erano sfruttabili strumenti basati sullo spostamento dell’ombra (gnomoni, ecc.). Da Demostene sappiamo che la C. fu molto usata dai Greci nei tribunali, dove serviva per misurare il tempo concesso ad un magistrato per un’arringa. A Roma ne venne introdotto l’uso verso il 150 a.C. Vitruvio (De architettura, IX), ne parla ampiamente ma come elemento decorativo degli edifici, mentre Macrobio e Sesto Empirico affermano che il primo tentativo di suddivisione dello Zodiaco (v.) in parti uguali fu eseguito con l’impiego della C. Viene tuttora usata a scopo decorativo, quale simbolo del trascorrere del tempo e della caducità delle cose terrene, e resta un motivo iconografico largamente sfruttato, anche dalla Massoneria, che la effigia sulla parete meridionale del Gabinetto di Riflessione (v.).

Clinici:  Termine derivato dal greco kline, letto, con il quale nel III secolo venivano denominati i convertiti al cristianesimo che ricevevano il battesimo sul letto di morte. Varie norme regolamentanti il battesimo somministrato ai C. vennero emanate da alcuni tra i primi concili, tra i quali quello di Elvira (343), di Cartagine (397) e di Orange (441).

Clitoridectomia: Termine derivato dal greco cleiyoriz, -idoz, clitoride, ed extomh, asportazione mediante taglio, castrazione. Asportazione del clitoride, eseguita mediante ablazione, recisione od escissione, compiuta durante particolari atti iniziatici, per lo più puberali, presso alcune popolazioni musulmane arabe, tuttora a livello etnologico, dell’Africa orientale e del Sudan. Impropriamente detta circoncisione (v.) femminile, la C. presso alcuni gruppi etiopici (Somali, Danàkili), nilotici (Sudanesi nella zona prossima a Khartum), negri somali (Shidle, Shaveli e Swaheli) è, di norma, associata alla pratica dell’infibulazione, eseguita mediante un unico taglio per tutta la lunghezza della parte interna delle grandi labbra; le gambe vengono poi fissate strettamente, e la legatura conservata per almeno otto giorni, fino all’avvenuta saldatura dei lati, ribadita talvolta mediante una cucitura od una infissione di spine vegetali. La C. è praticata anche presso popolazioni non musulmane della Guinea e del Sudan ex francese: qui il clitoride viene strappato alla nascita con le unghie.

Coagulazione: Processo alchemico che segue quello della Soluzione (v.) o liquefazione della materia in acqua mercuriale ottenuta per mezzo della semenza della terra (v. Citrinitas). La C. è la preparazione del mercurio dei filosofi, che volatizza e spermatizza i corpi, scacciando l’umidità superflua e coagulando tutta la materia sotto forma di terra viscosa e metallica (v. Solve et Coagula). Si tratta di una seconda digestione, nella quale lo spirito divino viene portato sulle acque, lasciando ricomparire il Sole e la Luna, mentre gli elementi escono dal caos per costituire un nuovo mondo, ovvero un nuovo cielo ed una nuova terra.

Codice Alessandrino: Nome che identifica un manoscritto costituito da quattro volumi. Risale al II-III secolo, e contiene la cosiddetta Bibbia dei Settanta, la prima traduzione in lingua greca dell’Antico Testamento, effettuata in 72 giorni per ordine di re Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.) da 72 studiosi di Gerusalemme. Pare fosse stata completata nel II secolo a.C. Contiene pure il Nuovo Testamento, caratterizzato in questa traduzione da frequenti citazioni dell’Antico Testamento. Fu adottato dalla Chiesa nei primi secoli, ed è tuttora in uso presso le Chiese orientali. L’originale del C. è conservato dal 1754 nella Biblioteca del Museo Britannico. Il nome deriva ovviamente dal fatto che il C. è stato redatto e poi reperito in Alessandria d’Egitto.

Codice Morale Massonico: Nel corso degli ormai tre secoli di vita, la Libera Muratoria speculativa si è arricchita anche di alcune diverse versioni di Codici Morali, la maggior parte dei quali redatti nella seconda metà del XIX secolo, saltuariamente stampati in formato artistico od addirittura semplicemente scritti a mano. I testi restano comunque inalterati nel tempo, come validi permangono gli insegnamenti contenuti. Si tratta di norme etiche, di regole comportamentali che romanticamente ispirate ai principi dell’Istituzione, delineano i percorsi che i Fratelli dovrebbero prediligere per procedere in modo corretto, onde mantenersi coerentemente entro i confini definiti dall’ortodossia muratoria. Eccone alcuni esempi: 1) Versione pubblicata a Torino nel 1859: "Ama il prossimo tuo come te stesso. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Non fare il male, ma sempre il bene. Lascia parlare gli uomini. Il vero culto dell’Altissimo consiste nei buoni costumi. Fai perciò il bene per amore del bene stesso. Conserva sempre la tua anima in uno stato abbastanza puro per comparire degnamente al cospetto dell’Ente Supremo, che è Dio, e spera da Lui la ricompensa del bene che avrai fatto sulla terra. Rispetta tutte le forme con le quali piace agli uomini di rendere omaggio a Dio. Combatti l’errore non col ferro, non con il fuoco, ma con la verità. Ama i buoni, aiuta i deboli, fuggi i malvagi, odia nessuno. Parla sobriamente con i grandi, prudentemente con i tuoi pari, sinceramente con gli amici, dolcemente con i fanciulli e teneramente con i poveri. Non lusingare tuo fratello, è un tradimento. Se tuo fratello ti lusinga, abbi timore che ti corrompa. Ascolta sempre la voce della coscienza. Istruisci l’ignorante. Copri colui che ha freddo, nutrisci chi ha fame, dà lavoro all’operaio e sii il padre dei poveri. Ogni sospiro che la tua durezza di cuore provocherà in loro, aumenterà il numero delle maledizioni che cadranno sul tuo capo. Non portare odio ad alcuno, rispetta il viandante straniero ed aiutalo nei suoi bisogni. La sua persona dev’essere sacra per te. Evita le discussioni, previeni gli insulti. Metti sempre la ragione dalla tua parte. Rispetta le donne. Non abusare mai della loro debolezza, muori piuttosto che disonorarle. Se l’Altissimo ti concede un figlio, ringrazialo ma trema per l’impegno che ti ha affidato. Sii per quel fanciullo l’immagine della Divinità. Fà che sino a dieci anni ti tema, che sino ai venti ti ami e che sino alla morte ti rispetti. Sino a dieci anni devi essere il suo maestro, sino ai venti suo padre e sino alla morte suo amico. Preoccupati di inculcargli buoni principi piuttosto belle maniere, e che ti sia debitore di una educazione morale e non di frivola eleganza. Fà che diventi onesto più che un uomo scaltro. Vigila con tenerezza sulla felicità della tua famiglia, procura di indirizzarla a sentimenti di amore per l’umanità e di devozione per la Patria. Ama il tuo Paese, procura di essergli devoto sino al sacrificio della tua vita. Se ti vergogni del tuo stato è solo per orgoglio. Pensa che non è il lavoro che ti onora o ti degrada, ma il modo in cui lo eserciti. Leggi e profitta, guarda ed imita, rifletti e lavora. Rapportare tutto all’utilità dei tuoi fratelli è come lavorare per sé stessi. Sii contento dovunque, di tutto e con tutto. Rallegrati della Giustizia, adirati contro l’iniquità, soffri senza compiangerti. Non giudicare con leggerezza le azioni degli uomini; non biasimare mai alcuno, e tanto meno lodalo senza merito. Spetta solo al grande Architetto dell’Universo, che sonda a fondo i cuori, apprezzare o meno le loro opere. Proclama sempre ed ovunque la fraternità di tutti, l’uguaglianza di tutti, la libertà di tutti" (Da Lumen Vitae, 1958). 2) I noti Consigli di Perfezione del 1910, del Massone inglese Rudyard Kipling (1865-1936): "Se saprai mantenerti calmo, quando intorno a te tutti perderanno la testa e te ne incolperanno; Se crederai in te stesso quando tutto dubiteranno, ma saprai comprendere il loro dubbio e dissiparlo; Se saprai aspettare senza stancarti nell’attesa, se calunniato non calunnierai ed odiato non odierai; E non cercherai di apparire troppo buono, né di parlare troppo saggiamente; Se saprai sognare e non fare dei sogni i tuoi padroni, se saprai pensare e non fare del pensiero il tuo unico scopo; Se saprai incontrare il trionfo ed il disastro, e trattare questi due impostori nello stesso modo; Se saprai sopportare di sentire che quanto hai detto di giusto venga alterato dai malvagi per combatterti e nuocerti; Se saprai assistere alla distruzione di ciò per cui hai dato la vita, e chino saprai ricominciare con i frantumi rimasti; Se saprai valutare freddamente la tua posizione sociale e, per alta che sia, rischiarla per una causa degna e perdere, e ritentare da capo, e non fiatare con alcuno delle tue perdite; Se saprai sforzare il tuo cuore ed i nervi ed i tendini, affinché ti servano anche se già siano sfiniti; E così resistere quando non vi sarà in te più nulla, fuorché la volontà che ancora dice: resisti! Se saprai parlare alle folle e restare semplice, o passeggiare coi re e conservarti modesto; Se né avversari né amici avranno il potere di offenderti; Se ogni uomo avrà per te valore, ma nessuno conterà troppo; Se saprai riempire il minuto che non perdona, coprendo un percorso che valga sessanta secondi; Tuo sarà il mondo e quanto esso contiene, e quel che più importa, sarai Uomo, figlio mio!". Per concludere, ecco il testo dei dieci comandamenti umani, redatto dalla Gran Loggia dell’India: "1) Rivolgi la parola alla gente. Niente è più piacevole di un gentile saluto. 2) Sorridi alla gente. Per il cipiglio occorrono 72 contrazioni muscolari, per un sorriso solo 14. 3) Chiama la gente per nome. Sentire il proprio nome è musica per l’orecchio. 4) Sii gentile e premuroso, Chi vuole avere amici dev’essere amichevole. 5) Sii cortese. Parla come se tutto ciò che fai fosse un vero piacere. 6) Interessati alla gente. Se vuoi, puoi amare tutti gli uomini. 7) Sii generoso con le lodi ma prudente con la critica. 8) Risparmia i sentimenti altrui. Generalmente ci sono tre aspetti in una disputa: il tuo, quell’altro e quello giusto. 9) Sii pronto ad aiutare la gente. Quello che fai per gli altri conta più di qualsiasi altra cosa. 10) Aggiungi a tutto ciò una dose di buon umore, una grande dose di pazienza ed un soffio di umiltà, e sarai ricompensato".