Anassimandro: Dal greco Anaximaqndroz, filosofo greco del VI secolo a.C., appartenente alla scuola ionica di Mileto. Gli si attribuisce il primo scritto filosofico intitolato Sulla natura, un tema poi ripreso e rielaborato da vari altri filosofi (v. Parmenide, Eraclito, ecc.). È anche quasi certo che sia anche stato il primo ad avere l’idea di redigere una carta geografica, segno evidente dello sforzo di creare una rappresentazione sistematica della terra. Il principio dell’intera realtà per A. è l’Infinito, dal quale derivano tutte le cose attraverso un lungo processo di separazione. Qualitativamente indeterminato ma raffigurato come un turbinio caotico, l’Infinito di A. è una nozione confusa ed essenzialmente poetica, ancora lontana dall’analisi del concetto di infinito che avrà luogo molto più tardi.

Anassimene: Dal greco Anaximenhz, filosofo greco del VI secolo a.C., ultimo rappresentante della scuola ionica di Mileto, ed allievo di Anassimandro (v.). Si distinse dai suoi predecessori per l’originalità e le chiarezza con cui concepì il rapporto tra le cose ed il principio dal quale le stesse derivano ed al quale ritornano. Quest’ultimo, sostituito dall’Aria, elemento indeterminato ed in perenne movimento, con il tempo si rarefà e si condensa, generando nel primo caso il caldo e nel secondo il freddo, da cui, attraverso ulteriori rarefazioni e condensazioni, hanno origine il Fuoco, il Vento, l’Acqua e la Terra (v. Elementi). Inoltre A. fu l’iniziatore dell’astronomia greca, concependo per primo l’esistenza delle stelle fisse e la netta separazione tra la terre e gli astri.

Anatema: Derivato dal greco anadema, maledizione, il termine indicava, sia presso i Greci che nell’Antico Testamento, un oggetto appeso alle pareti del tempio, una specie di ex-voto (II Maccabei 9, 16). Ma poiché nell’uso religioso il termine designava la consacrazione alle deità infernali, al tempo dei Settanta (III–II secolo a.C.) assunse il significato di oggetto di maledizione. Essi quindi tradussero così la voce ebraica herem che, secondo il Talmud (v.), era la forma più grave di scomunica, comportante l’esclusione solenne e perpetua dal consorzio dei fedeli. Nel Nuovo Testamento A. significa un giuramento da pretarso sotto pena di gravi sanzioni (Atti 23, 14). Un oggetto di maledizione e di esecrazione (Galati 1, 8). San Paolo accettò ipoteticamente di diventare A. (ovvero maledetto) pur di vedere la conversione degli Ebrei (Romani 9, 3). Per la dottrina cristiana la parola A. ebbe un senso analogo a quello delle Sacre Scritture: separazione da Cristo e dalla Chiesa, e conseguente scomunica. Quando i canoni dei concili colpiscono di A. una dottrina, significa che essa è eretica. Nel Codice di Diritto Canonico la parola A. (can. 2257) è sinonimo di scomunica, con riferimento a quei casi in cui essa viene inflitta con particolare solennità. Nelle iscrizioni sepolcrali cristiane, a somiglianza di quelle pagane, viene usata la forma deprecativa Anathema sit nel nome di Dio e della Trinità a chi ardisca violare le tombe, minacciando pene eterne (come quella di Giuda) o la lebbra (come l’ebbe il siro Naaman), od altre sciagure. In Oriente s. Gregorio Nazianzeno dettò ben 81 epigrammi con altrettanti A. diretti contro i violatori di tombe.

Ancora: Termine derivato dal greco agcura, che definisce lo strumento che, facendo presa sul fondo del mare con braccia uncinate, trattiene la nave oppure l’imbarcazione cui è collegata mediante cavo o catena. Nei poemi omerici è descritta come costituita da grosse pietre legate alla nave con robusti cavi (eunh). Originariamente era di legno, in parte vuoto e riempito di piombo, ed era formata da un grosso fusto, ella cui estremità inferiore veniva legato dapprima un solo braccio di ferro, poi due terminanti con palette triangolari. All’estremità superiore del fusto un anello cui era legata la fune attaccata alla nave. In epoca romana l’A. venne infine perfezionata, fino a conferirle la forma tuttora mantenuta. Oggi le grando navi sono dotate di tre A. a prua (due di servizio dette di posta, ed una di riserva detta di speranza), ed una di poppa (detta di corrente o di ormeggio). Nell’arte figurativa cristiana l’A. è il simbolo della speranza, e si trova spesso raffigurata sui monumenti funebri del II e III secolo d.C., di norma posta tra due pesci che simboleggiano i fedeli. Anche la Massoneria considera l’A. simbolo di Speranza (v.).

Anderson James: Ministro della chiesa Presbiteriana, il reverendo A. (1678-1739) nel 1709 aveva assunto la guida di una cappella di Piccadilly, rilevata da una congregazione di protestanti francesi immigrati, ridotta in gravi ristrettezze finanziarie. Fu attraverso questa comunità che ebbe modo di conoscere il reverendo J.T. Desaguliers, ministro della Chiesa Anglicana. Nel 1721 gli fu affidato dalla Gran Loggia Unita d’Inghilterra l’incarico di rivedere ed adeguare le Antiche Costituzioni gotiche, secondo le decisioni adottate alla fondazione della Gran Loggia stessa nel 1717. Fu un compito che A. affrontò in collaborazione con il Desaguliers, arrivando a completare la codificazione ufficiale della Massoneria speculativa moderna in quattordici mesi. Una commissione di Fratelli esaminò l’elaborato, e lo approvò con qualche lieve emendamento e, nella loro stesura definitiva nel 1723, vennero pubblicate le nuove Costituzioni, ad edificazione delle Logge componenti la Gran Loggia inglese. Nell’anno della pubblicazione A. fu eletto Maestro Venerabile della sua Loggia, nonché Gran Sorvegliante della Gran Loggia. Nel 1738 le Costituzioni vennero ripubblicate con alcune variazioni, per cui esse presentano un carattere di autenticità inferiore rispetto all’edizione precedente. Tra la prima e la seconda edizione delle costituzioni massoniche, A. scrisse opere non massoniche, tra le quali un piccolo trattato teologico ortodossamente trinitario, "Unity in Trinity, and Trinity in Unity", ed una voluminosa e poco rigorosa opera genealogica, "The Genealogical Tables of Emperors, Kings and Princes from Adam to these times". Alla sua morte, A. fu sepolto con funerale rituale massonico in Bunhill Fields, e tra i "pall bearers", gli accompagnatori del feretro, spiccava la figura del Desaguliers.

Andrea: Apostolo e santo della Chiesa cattolica. Era figlio di Giona e fratello di Simone, detto Pietro, e come questi originario di Betsaida e pescatore a Cafarnao (Giovanni 1, 44; Marco 1, 29). Fu discepolo del Battista insieme a Giovanni, e quando il profeta chiamò Cristo "Agnello di Dio", egli seguì Gesù nella sua abitazione, e vi condusse poi Pietro (Giovanni 1, 35-42). Per questo motivo la liturgia bizantina definisce A. prwtoclhtoz (primo chiamato). Questo titolo fornì il pretesto per negare il primato di Roma, asserendo che A. avesse ordinato un certo Stachys vescovo di Costantinopoli. Nell’elenco degli apostoli il nome di A. appare sempre tra i primi quattro. Tre volte è menzionato esplicitamente: in occasione del discorso escatologico di Gesù (Marco 13, 3); prima della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Giovanni 6, 8); quando insieme a Filippo presenta a Gesù alcuni gentili (Giovanni 12, 22). È nominato tra gli apostoli nel cenacolo, dopo l’Ascensione di Gesù (Atti degli Apostoli 1, 13), poi il suo nome non compare più. Svolse il suo apostolato in Scizia, Cappadocia, Tracia, Galazia, Ponto Eusino, Macedonia, Armenia, Georgia e Bitinia. Secondo la tradizione, morì martire a Patrasso, crocifisso per ordine del proconsole Egea su una croce decussata, obliqua, ovvero ad "X", che da lui prese il nome di Croce di sant’Andrea. È patrono della Russia e della Scozia.

-Androgino: Termine di derivazione greca, da androgunoz, composto da anhr anoroz, uomo e gunh, donna, sinonimo di ermafrodito (v.), ovvero partecipe dei due sessi. Secondo il De Guaita (Alla soglia del Mistero, Ed. Atanor, 1974) "L'A. è la più perfetta immagine del regno umano, ricollegata al suo principio intelligibile. In linguaggio geroglifico è il simbolo assoluto di questo Essere Virtuale che si esteriorizza mediante ciò che viene definito "facoltà volitiva efficiente", di questo Essere Universale che si particolarizza indefinitivamente nei sottomultipli attraverso lo spazio ed il tempo, di quest'Essere Spirituale, infine, che si corporizza e precipita nella materia, per aver preteso di farsi centro, allontanandosi dall'Unità Divina, che è il vero ed unico principio centrale e la sorgente essenziale d'ogni spiritualità". Il Mariani (Il Bello ed il sacro, Ed. Bastogi, 1986) sostiene invece che "L'A. partecipa della natura dei due sessi. Dopo averle raccolte e sintetizzate in sé, le equilibra facendole vivere armoniosamente. "Bella come la Luna e brillante come il Sole" è, per l'appunto, una creatura umana segnata coscientemente da questo ineffabile mistero. Non è certo privo di significato il fatto che la figura dell'A. è adombrata in molte tradizioni e culture. La troviamo nel Tao, con i principi Yin e Yang, fusi in un'unica sfera, nella Genesi prima della caduta, nel Rebis alchemico, nell'antichità greco romana, nell'antichissimo mito che Platone raccoglie nel Simposio. Quindi all'origine c'è quest'unità autosufficiente che, in un certo momento della sua storia, viene scissa per diventare dualità, vuoi per una "colpa", vuoi per "l'invidia degli dei", vuoi per un'umana necessità di consapevolezza del bene e del male. Come confermato dalla biologia, i due sessi non sono nettamente separati tra loro, poiché in ogni maschio c'è una parte della donna perduta, come in ogni femmina una parte dell'uomo di cui fu partecipe. Il simbolo nero dello Yin contiene una parte di bianco, e viceversa". Infine Mircea Eliade, nel suo Mefistofele e l'Androgino, conclude che "Diventare maschio e femmina, o non essere né maschio né femmina, sono espressioni plastiche con le quali il linguaggio cerca di descrivere la conversione, il rovesciamento totale dei valori. È altrettanto paradossale essere maschio e femmina, ridiventare bambino, rinascere, passare dalla porta stretta". Y /Alchimia) L'A. è stato adottato come significativo simbolo alchemico fin dalla fine del XVI secolo, in particolare ad opera del celebre alchimista Basilio Valentino, nel suo Trattato dello Azoth (1659), ed è noto agli studiosi sotto il nome di Rebis (v.).

Anello di Re Salomone:  Denominazione di un mitico anello, la cui esistenza è stata tramandata fino ai nostri giorni da un’antica leggenda di origine giudaica. L’A. configura un anello magico che consentirebbe, a chi lo porta, di parlare e capire perfettamente il linguaggio di tutti gli animali.

Angelo: Dal greco aggeloz, nunzio, messaggero. Nella religione ebraica e cristiana è un essere soprannaturale, ministro di Dio nelle sue relazioni con gli esseri umani, messaggero ed esecutore della sua volontà. Molte religioni la considerano una classe di esseri intermedi tra l’uomo e la divinità. Geni protettori di questo tipo esistevano già nella religione assiro-babilonese; rientrano in questa categoria anche le Fravashi che, nello zoroastrismo (v.) costituivano una milizia di Ahura Mazda. Appunto da una sintesi sincretistica di elementi assiro-babilonesi ed elementi persiani, sembra derivare la vasta angelologia ebraica, secondo quanto afferma l’antica dottrina rabbinica, che nel Talmud (v.) dice: "I nomi degli A. vennero ad Israele da Babilonia". Il termine ebraico mal’akh (messaggero) venne tradotto dai Settanta col greco aggeloz, termine di identico significato, che nella mitologia greca indicava i messi divini (Ermete, Iride). La Bibbia dice che gli A. sono innumerevoli (Genesi 32, 2-3), sono intelligenti (II Samuele 14, 20) e sono santi (Salmi 88, 6-8). Talvolta le apparizioni di A. avvengono come in sogno; così ad Agar (Genesi 16, 7), ad Abramo (Genesi 18, 1-2; 22, 1-18), a Giacobbe (Genesi 28, 12); altre volte appaiono in forma umana, come a Lot (Genesi 19), ad Isacco (Genesi 22, 11), ai tre giovani nella fornace (Daniele 9, 21), a Tobia (5, 17). Di essi si conoscono tre nomi: Gabriele, Michele e Raffaele. Nell’Antico Testamento non è detto esplicitamente che gli A. fossero puri spiriti. Un caso particolare è tuttavia rappresentato dal cosiddetto A. di Jahweh (ebraico Mal’akh Jahweh). In vari passi dell’Antico Testamento appare un A. che si presenta come messaggero divino, parla e fa promesse come Dio (Genesi 16, 10-13; 21, 17-19), e si identifica con Dio (Genesi 31, 11-13; Esodo 3, 2-4; Giudici 2. 1-4). Alla fine del Codice dell’Alleanza Jahweh promette il suo A., che condurrà Israele (Esodo 23, 20-23). Origene (v.), insieme ai vari padri greci e latini, vede in questa espressione una manifestazione del verbo; gli esegeti moderni invece vedono l’identità fra l’A. di Jahweh e lo stesso dio; il Lagrange suppone che il termine A. sia stato interpolato nei testi, onde rendere più comprensibile l’apparizione di Dio. La stessa angelologia dell’Antico Testamento appare in sostanza nel Nuovo, ma con alcune indicazioni che ne determinano le caratteristiche. Gli A. sono sempre presenti nella vita di Gesù (annunciazione a Maria, apparizione a Giuseppe, apparizione ai pastori, fuga in Egitto, ritorno in Galilea), all’inizio del suo ministero pubblico (Matteo 4, 11), nella passione (Matteo 26, 53; Luca 22, 43), nella resurrezione e nell’ascensione al cielo (Marco 16, 5; Luca 24, 23; Giovanni 20, 12; Atti degli Apostoli 1, 10). Gli A. sono sottomessi al Cristo, come afferma ripetutamente s. Paolo, per combattere talune tendenze gnostico-giudaiche che esageravano il culto degli A. Il numero degli A. è grandissimo, ed esiste fra loro anche una diversità indicata da differenti denominazioni (Efesini 1, 21; 3, 10; Colossesi 1. 16-20). L’esistenza degli A. come nature individuali è di fede, come è pure di fede che furono creati da Dio; il loro culto è legittimo (Concilio Niceno II), il loro ministero di adorazione verso Dio e dei suoi tramiti presso gli uomini è verità di fede. Vi sono differenze tra gli A.; la divisione in nove cori (A., arcangeli, principati, potenze, virtù, dominazioni, troni, cherubini e serafini) non è assoluta. È di fede che gli A. subirono una prova, che generò la divisione tra A. buoni, confermati nella visione benefica, ed A. cattivi (demoni), condannati alla pena eterna. L’esistenza degli A. custodi con lo speciale ministero di una protezione individuale agli uomini, è accertata dalla tradizione e dal magistero della Chiesa. I primi Padri della Chiesa negavano esplicitamente agli A. il culto dovuto a Dio, ma consentivano un culto appropriato. Origene affermò che i cristiani non adoravano gli A., ma rendevano loro un culto, purché s’intenda esattamente questa parola (Contra Celsum VII, 13). Sant’Ambrogio (De Viduis, cap. IX) esorta a pregare gli A. onde ottenerne aiuto e protezione. Nei suoi due volumi "Gli A. fra noi" e "Gli A. nel nostro futuro", la scrittrice Giuditta Dembech distingue gli A. in varie categorie, a seconda del compito svolto: dell’Energia, Guaritori, Custodi della casa, Costruttori delle forme, di natura, della Musica, della Bellezza o dell’Arte. La Dembech non subisce influenza alcuna dal fenomeno della medianità, che peraltro non condanna affatto, rifuggendo comunque da qualsiasi espediente ingannevole. Citando il medico contemporaneo Geoffrey Hodson, rivelatosi grande chiarovvengente, sostiene che fosse dotato di terzo occhio, o di seconda vista. Vedeva le aure, le vibrazioni e le energie variopinte emanate dai pensieri umani come da ogni essere: dalle vallate, dagli alberi e dai fiori. Annotava quanto vedeva con la stessa meticolosità con cui compilava le cartelle cliniche dei suoi pazienti. Contattato da una creatura angelica, cui impose il nome di Bethelda, avviava un profondo lavoro di apprendimento, che riportava in alcune sue opere, tra cui "Il Regno degli Dei" e "La Fratellanza degli A. e degli uomini". Vi ribadisce la necessità di accettare e comprendere l’esistenza degli A., e di avviare con loro un rapporto di collaborazione. Sostiene che l’essere umano ha molto da guadagnare da questo interscambio, in tecnologia, conoscenza scientifica e soprattutto serenità interiore. Egli traccia, su dettatura degli stessi A., la strada per arrivare al contatto con loro: "I mezzi più facili di approccio si trovano nell’amore della natura. Chi intenda conoscerci deve imparare ad entrare in contatto con la natura, in modo molto più profondo di quanto sia possibile attualmente all’uomo normale. Oltre ad un più intenso apprezzamento della sua bellezza, dev’esserci riverenza verso tutte le forme, una riverenza nata dal riconoscimento della presenza divina di cui queste forme e tali manifestazioni non sono che l’espressione esteriore. Occorre anche raggiungere un vivificante senso di unità con la natura, immedesimandosi in ogni albero, ogni fiore, ogni filo d’erba, ogni nuvola vagante, realizzando come le molteplici diversità che compongono una valle, un giardino, un vasto panorama di monti, di mare o di cielo, non siano altro che espressioni del Sé unico che è nell'’uomo, Dio di cui siete parte, per mezzo del quale è possibile penetrare oltre il velo esteriore della bellezza. Raggiunto tale risultato, sarete sulla soglia del nostro mondo, avrete imparato a vedere con i nostri occhi, a conoscere con la nostra mente, a sentire con il nostro cuore". Oggigiorno si assiste ad una rilancio poderoso del culto degli A., favorito da una florida letteratura specializzata e dal rifiorire della relativa cultura iconografica, che vede gli A. raffigurati in immagini e statuette di larga diffusione.