Ahimsa: Termine sanscrito dal significato di «non fare del male al alcun essere vivente». Si tratta di uno dei principi fondamentali dell'Induismo (v.), che ha avuto tra i suoi sostenitori il Mahatma Gandhi (v.), assassinato il 30 gennato 1948. Secondo A. M. Esnoul (Guida alle religioni, Ediz. Paoline, 1983), «Abitualmente si traduce la parola “ahisma” con “non violenza”. In realtà si tratta di qualcosa di più. Questa parola, costruita nella forma ottativa della radice Han, colpire, indica anche la non intenzione di nuocere. L'A. è legata al gusto, al rispetto della vita, e quindi il sacrificio vedico, che implicava l'immolazione di animali, viene gradualmente considerato con esecrazione. Sopravvivranno soltanto i riti che ne sono indipendenti, mentre parallelamente si sviluppa la corrente vegetariana, che gode ancora oggi di molta vitalità, e che nella sua struttura è l'erede naturale del sacrificio vedico».

Ajanta: Villaggio del Maharastra (India), in prossimità del quale sono state rinvenute, scavate nella collina, 25 costruzioni rupestri, monasteri (vihara) e templi (caitya) buddhisti, datati tra il II od il I secolo a.C. ed il VII secolo d.C. Scoperto casualmente nel 1819 da alcuni ufficiali inglesi, dopo un oblio di vari secoli, tale complesso è considerato come una delle maggiori documentazioni dell’architettura , e soprattutto della pittura murale indiana dei periodi più antichi. Le grotte ricavate scavando e scolpendo ogni singolo elemento architettonico nella roccia, presentano nei templi una pianta absidata con file di pilastri o colonne nelle navate. Lo stupa posto al centro dell’abside e la facciata porticata con varie aperture per dare luce all’interno, mentre i vihara sono per la maggior parte costituiti da una fila di celle che si affacciano su una veranda o su una sala ipostila. Gli interni sono fittamente decorati con dipinti murali di luminosi colori e di splendide linee, che illustrano Jataka (storie delle precedenti incarnazioni di Buddha) ed Avadana (episodi della sua ultima incarnazione), oltre a rappresentazioni di Bodhisattva e a divinità del pantheon induista. Le raffigurazioni più antiche (caitya IX, II o I secolo a.C.; caitya X, III secolo d.C.) presentano una gamma di colori più ridotta (rosso-ocra, verde erba, nero-fumo, bianco-calce), e le pennellate non sono ancora rafforzate per una ricerca di volume e di profondità, come nelle epoche successive, ma si ha ugualmente un vivo senso di movimento, specie nelle numerose figure di animali, ed un attento amore per le notazioni naturali (alberi, foglie e fiori). Successivamente, nel IV-V secolo, le composizioni diventano più fastose, con padiglioni regali, baldacchini, scene di caccia e di battaglie, fino a culminare nelle pitture della fine del V secolo (vihara I e XVII), le cui qualità realistiche ed insieme il fine senso del ritmo e della linea ne fanno dei capolavori d’arte buddhista, il cui influsso arriverà nelle regioni più lontane, come in Asia centrale, in Cina ed in Giappone.

-Ajna: Nome del sesto Chakra, localizzato al centro della fronte, circa due dita al di sopra della radice del naso. Il suo nome in sanscrito significa conoscere, percepire ed anche comandare. Questo Chakra è collegato alla ghiandola pituitaria, al controllo del sistema ormonale ed al cervelletto. Questo centro energetico è importante più che per la sua correlazione con disturbi di tipo fisico, soprattutto per il suo alto significato psichico. Ad esso è correlata la capacità e l’equilibrio psicospirituale, la corretta percezione di sé in relazione a sé stessi, ad un livello energetico che possiamo definire intuitivo, sensitivo, quindi oltre la mente; molto probabilmente è a disfunzioni di questo Chakra che si possono far risalire patologie psichiatriche gravi, come ad esempio la schizzofrenia. Inoltre, poiché esso e associato alla regolazione di tutti i cicli dei vari piani della persona (fisici, mentali, emozionali, spirituali) occorre fare la seguente considerazione: ogni ciclo è un’oscillazione di tipo bipolare, perciò metaforicamente, ma poi neppure tanto, è caratteristica intrinseca dell’A. il passaggio dalla luce al buio, anche in senso metafisico; da questo s’evidenzia come il buio dell’anima, spesso catalogato come depressione o peggio, possa essere riferito alla sua disfunzione. L’A. rappresenta il pensiero, viene anche chiamato Chakra del Terzo Occhio. Questa è la sede delle più elevate facoltà mentali, delle capacità intellettuali, nonché della memoria e della volontà. Sviluppando la nostra consapevolezza, ed aprendo sempre di più il terzo occhio, la nostra immaginazione potrà produrre l’energia necessaria per realizzare i nostri desideri. Quando il Chakra del cuore è aperto e in congiunzione con quello del terzo occhio, possiamo trasmettere le nostre energie guaritrici sia da vicino che da lontano. Nello stesso tempo possiamo avere accesso a tutti i livelli della creazione, livelli che vanno anche al di là della realtà fisica. Una conoscenza di questo tipo ci perviene sotto forma di intuizioni, di chiaroveggenza e d’ipersensibilità nell’udire e nel percepire. Cose che prima avevamo sospettato solo vagamente, ci appaiono ora chiaramente. Le pietre collegate all’A. sono: Ametista, Fluorite, Sugilite, Lepidolite ed Azzurrite.

Akhenaton: Nome assunto dal faraone Amenophis IV, della XVIII dinastia (1377-1358 ca. a.C.). In contrasto con il collegio sacerdotale di Tebe, abolì il culto di Amon (v.) per istituire, per ragioni religiose e politiche, quello di Aton, il Disco Solare. Abbandonò l’antica capitale Tebe, e fondò la città di Akhetaton, "orizzonte di Aton", l’attuale Tell-el-Amarna (v). Secondo le enunciazioni teologiche della nuova religione, la famiglia reale era il tramite ottimale tra la divinità ed il popolo. Sposo della regina Nefertiti, dalla quale ebbe almeno sei figlie, praticò il nuovo culto nei grandi templi all’aperto, fatti costruire nella nuova capitale dove aveva trasferito la famiglia e l’intera corte. Sovrano di indole pratica, portato a crisi mistiche e lontano dagli affari di governo, verso la fine del suo regno sembra abbia tentato di giungere ad un accordo con il ricco e potente clero tebano, sfruttando le doti di mediatore del genero e coreggente Smenkhere che, dopo la separazione di A. da Nefertiti, sostituiva la sposa reale nelle cerimonie ufficiali. Questo ha contribuito al sorgere di dubbi sull’effettiva mascolinità del sovrano, perplessità rafforzate dalle scarse raffigurazioni rimaste, che lo ritraggono tutte con fattezze corporee quasi femminili. Non si conosce con esattezza quale sia stata la sua fine, certamente triste dopo il crollo del suo effimero sogno di imporre al paese una religione a carattere vagamente monoteistico. La sua personalità è unica nella lunga storia dell’antico Egitto: il suo dogma durò quanto il suo regno, e non ebbe alcun seguito dopo la sua oscura morte. Ma l’impronta lasciata dalla nuova concezione della vita, e l’intensa spiritualità che emanava dalla dottrina amarniana, influirono profondamente sulla civiltà egiziana antica, soprattutto sui canoni artistici e nelle attività di pensiero. Figura enigmatica di visionario, soffrì il fallimento delle sue teorie religiose e l’addensarsi ineluttabile dei gravi pericoli esterni che, specialmente dall’oriente, minacciavano il paese, per colpa della sua indifferenza di fronte ai reali problemi politici che fu incapace di affrontare. Per quanto l’ultimo faraone della XVIII dinastia, Haremhab, abbia fatto di tutto per cancellare ogni ricordo di questo sovrano ufficialmente proclamato eretico, rimangono di lui alcuni monumenti e statue che compendiano, con la loro allucinata ricerca di somiglianza spiritualizzata, i canoni artistici amarniani, che furono di vera creazione e partecipazione. A lui è attribuito l’Inno ad Aton, che riassume in un’opera di alta poesia le proposizioni teologiche del nuovo culto solare.

Akhetaton: Nome della città fondata dal faraone Amenophis IV, noto con il nome di Akhenaton (v.), dopo aver abbandonato l’antica capitale Tebe. La città di Akhetaton, "orizzonte di Aton", è l’attuale Tell-el-‘Amarna (v), meta di svariate spedizioni archeologiche dagli alterni successi. Per quanto l’ultimo faraone della XVIII dinastia, Haremheb, abbia fatto di tutto per cancellare ogni ricordo di questo sovrano ufficialmente proclamato eretico, rimangono di lui alcuni monumenti e statue che compendiano, con la loro allucinata ricerca di somiglianza spiritualizzata, i canoni artistici amarniani, che furono di vera creazione e partecipazione.

Al Coperto:  Espressione massonica rituale impiegata per indicare che i Lavori nel Tempio (v.) sono svolti al riparo da ogni sguardo profano.

Albedo: Rapporto tra le quantità di energia diffusa da una superficie sferica e la quantità totale che l'ha investita provenendo dall'infinito o da grandissima distanza. In Alchimia rappresenta la seconda fase della Trasmutazione, corrispondente alla Coagulazione che avviene dopo il processo di Putrefazione. Simbolicamente rappresenta lo stato di coscienza intermedio del cammino ascetico od iniziatico, che segue il Nigredo (v.). Identifica la soglia dell'illuminazione purificatrice che l'iniziato deve superare. Dopo di che si accede all'ultima fase alchemica, denominata Rubedo (v.).

Albero Cosmico: Detto anche della Vita. Sono molteplici i significati attribuiti a quest’A., come alla vegetazione in genere, nel culto e nella simbologia religiosa. La fenomenologia della religione (Eliade) e la orientalistica (Parrot) hanno potuto appurare che l’adorazione dell’A. è nata dal fatto che lo si riteneva sede o modalità di manifestazioni di un essere sovrumano. A tale credenza s’accompagna spesso la visione dell’A. quale immagine dell’ordinamento del Cosmo. Le tracce o le testimonianze relative si possono individuare: nelle aree centroasiatiche, nei casi in cui si sia conservata l’arcaica misteriosofia sciamanica (v.); nell’ambito delle antiche religioni mesopotaniche ed egee. Inoltre l’A. si presenta come tema significante lungo l’intero orizzonte culturale indiano ed indianizzato: dalla presenza di spiriti alberi femminili, nella fede delle civiltà dell’Indo (2800 a.C.) all’albero dell’illuminazione di Buddha (v.) ed agli Yaksa, maschi e femmine, custodi della vegetazione, secondo le credenze sia brahmane sia jainiste sia buddhiste, intorno ai secoli II e I a.C. Tra le funzioni più tipiche dell’A. si rilevano: facoltà oracolari (il greco Zeus parlava attraverso la chioma della quercia sacra nel bosco di Dodona); di custode della vita umana, nel folklore europeo settentrionale. Altri aspetti si connettono con la pratica dell’agricoltura. L’A., o della vita, o della scienza, appare spesso custodito da qualche animale più o meno favoloso, e non di rado con aspetto di rettile, forse per ricordare che ambedue appartengono alla terra in modo profondo, e periodicamente rinnovano il loro aspetto. Fra le versioni più interessanti della simbologia arborea si devono almeno citare le varianti dell’A. con le radici in cielo: concetto che s’incontra nell’induistica Katha-Upanishad (VI, I), nelle dottrine misteriosofiche ebraiche (oltre che in Dante, Paradiso XVIII, 28 e segg.), nella tradizione alchemica e nel folklore islandese, finnico e lappone. Il tema dell’A. rovesciato darebbe una più esatta immagine dei rapporti che intercorrono fra le regioni celestiali, secondo i vari intrecci (le radici) e la molteplicità dei fenomeni (i rami) dell’essere manifestato, contemporaneamente inciampo e via affinché il saggio prenda coscienza della sua collocazione, risalendo lungo il tronco (con intelligenza) alle origini delle cose. Oltre che valori religiosi ed accezioni mitiche ed esoteriche, l’A. ha anche significati politici: basti rammentare il famoso Albero della Libertà (v.) per sottolineare l’abbattimento delle tirannidi.

Albero della Libertà: Albero che, al tempo della Rivoluzione, i repubblicani francesi solevano piantare nelle piazze principali delle città, a simboleggiare l’abolizione della tirannide e l’instaurazione di un regime libero. L’uso, regolamentato da un decreto della Convenzione nazionale, fu introdotto per la prima volta a Parigi nel 1790, ma si diffuse anche all’estero, al seguito delle truppe rivoluzionarie. Di soli era un impiegato un pioppo, che veniva ornato con il berretto frigio, bandiere, fiori e coccarde.

Albero della Vita: Denominato anche Albero Cosmico (v.).

Albero di Natale: Albero o pino variamente adornato ed illuminato, su cui si appendono, o sotto il quale si dispongono, i doni per i bambini nella notte di Natale. Di origine nordica, se ne ha notizia in Germania (ove viene chiamato Tannenbaum) già nel 1605. Diffusosi in tutta l’Europa e nell’America settentrionale, in Italia si è affermato definitivamente solo dopo la seconda guerra mondiale, affiancandosi al presepe, ed in alcuni casi addirittura soppiantandolo. L’A. si trova al centro delle cerimonie nordiche per la celebrazione della Festa della Luce, celebrata in occasione del solstizio d’Inverno. Y (Massoneria) La Festa della Luce viene anche celebrata nelle Logge massoniche; essa vede la partecipazione di famigliari e profani ad un suggestivo rituale tenuto nel Tempio. Tale rituale è stato adottato anche in Italia da alcune Logge del G.O.I., in genere gemellate con Logge tedesche.

Albero Sefirotico: Raffigurazione cabalistica detta anche A. della Vita.

Alberto Magno: Santo, filosofo e teologo (Lauingen, Svevia, 1193-Colonia, 1280). Noto anche come A. teutonico o di Colonia, nacque da una famiglia di militari, e studiò all’università di Padova; fu in questa città che entrò nell’ordine domenicano (1223). Conclusi gli studi a Colonia (1128), fu insegnante di teologia ad Heidelberg, a Friburgo, a Ratisbona, a Strasburgo ed a Colonia. Nominato Magister s. Theologiae, fu docente alla Sorbona di Parigi (1245), città in cui era uso tenere conferenze all’aperto, in una pubblica piazza che porta ancora oggi il suo nome, la Place Maubert, poiché non v’era aula capace di contenere le folle enormi che prendevano letteralmente d’assalto le sue lezioni. Fu qui che iniziò la sua grande enciclopedia scientifica, alla quale continuò a lavorare per tutta la vita, e che fu la vera Summa delle scienze naturali del Medioevo. Nominato direttore dello studio generale domenicano in Colonia (1248-54), vi ebbe allievo Tommaso d’Aquino (v.), che fu il suo discepolo prediletto. Eletto provinciale della vasta provincia germanica (1254-57) difese, davanti alla curia papale di Anagni (v.), gli ordini mendicanti contro Guglielmo di Sant’Amore (1256). Eletto da Alessandro VI vescovo di Ratisbona (1260), rinunciò alla carica (1261) e si trasferì in Italia. Nominato da Urbano IV legato in Germania per predicarvi la crociata (1263), alla morte del pontefice /1264) riprese l’insegnamento a Würzburg (1264-67),A Strasburgo (1267-70) ed a Colonia (1271). Intervenne al Concilio di Lione (1274) ed a Parigi difese (1276-77) le posizioni aristoteliche sue e di Tommaso d’Aquino, contro il vescovo Etienne Templier. Nominato santo e Dottore della Chiesa da Pio XI (1931), e Patrono delle scienze naturali da Pio XII (1951). La sua attività letteraria fu tra le più vaste del Medioevo, e toccò tutte le scienze sacre e profane dell’epoca. Tra le opere filosofiche ricordiamo. Opere di filosofia razionale o logica, fra cui il De praedicamentis ed In Catedorias Aristotelis; opere di filosofia reale, fisica, matematica e scienze naturali (23 in tutto) fra cui In quatros libros de caelo et mundo, De mineralibus, De unitate intellectus contra averroistas, scritto per invito del papa, De morte et vita, De animalibus libri viginti sex, De vegetalibus et plantis libri septem, Super geometriam Euclidis; sette opere di metafisica, tra cui Metaphysicorum libri tredecim; opere di teologia, fra cui undici di esegesi, tredici di teologia sistematica, sette di parenetica e 53 omelie sui Vangeli delle domeniche di un anno intero. In campo filosofico, il suo maggior merito fu quello d’aver fornito a Tommaso d’Aquino le indicazioni fondamentali ed il materiale filosofico che poi quest'ultimo magistralmente elaborò. Attraverso una produzione vastissima, comprendente i commentari alle maggiori opere di Aristotele, scritti contro gli averroisti, scritti scientifici, scritti teologici e commenti all’Antico ed al Nuovo Testamento, A. operò una sintesi tra il pensiero di Aristotele e la scolastica, rifiutando la tradizione ebraica ed araba, ed accettando invece le interpretazioni agostiniane e neoplatoniche. Difensore del razionalismo filosofico, che egli volle sempre tenere separato dalla teologia e dalle verità di fede, fu nello stesso tempo precursore dell’indirizzo empiristico, nell’ambito della conoscenza particolare e dello studio della scienza della natura. Tra i concetti di derivazione aristotelica, assunti poi da Tommaso d’Aquino, vi sono anche l’impossibilità della prova ontologica dell’esistenza di Dio, l’indisponibilità della creazione del mondo nel tempo, l’individualità dell’intelletto agente e la distinzione rigorosa tra creatore e creatura. Per queste tesi razionalistiche egli fu contrastato dagli stessi confratelli dell’ordine domenicano cui apparteneva.

Albigesi: Eretici catari provenienti dall'oriente balcanico e stabilitisi nel XII secolo nella Francia meridionale, nella regione di Albi, da cui il nome. La loro organizzazione sistematica e la loro attività religiosa provocarono le prime reazioni di Roma: la missione del legato pontificio cardinal Alberico da Ostia (1145) contro Enrico di Losanna non ebbe successo. San Bernardo di Chiaravalle, un anno dopo, parve ottenere esiti migliori, ma di breve durata. Il sinodo di Lombers (Albi) ne pronunciò la condanna (1165). Nel 1167, al concilio cataro di Saint Felix de Caraman (Tolosa), gli A. si diedero un'unificazione dottrinale ed una sistemazione gerarchica, passarono al dualismo assoluto, e costituirono le diocesi ereticali di Albi: Lombers, Tolosa, Carcassonne, Val d'Aran in Linguadoca, oltre alla diocesi della Francia antica (territori della lingua d'oil) dove il dualismo fu mitigato. Lo sviluppo degli A. rappresentava un duplice pericolo: per la monarchia francese perché accentuava la separazione tra la Francia e la Provenza; per la gerarchia cattolica perché l'ascetismo dei capi A., specie dei "perfetti", suggestionava le folle, mentre la loro predicazione contro le ricchezze della Chiesa invogliava i nobili ad impossessarsene. L'azione dei legati pontifici, Pietro di Castelnau e Rodolfo, si mostrava inutile; nel 1203 intervennero in loro aiuto il vescovo Diego di Osma e San Domenico di Guzman con i suoi primi compagni, che si prodigarono con l'esempio della vita austera e con la predicazione evangelica, ottenendo solo risultati effimeri. Innocenzo III, affermando che l'eresia è un delitto di lesa divinità da punirsi alla stessa stregua del delitto di lesa maestà, aumentò i poteri della Santa Inquisizione. Questa richiedeva ai magistrati e signori un giuramento di fede romana, ed esigeva, sotto pena di gravi sanzioni, la prestazione del braccio secolare per la proscrizione degli eretici e la confisca dei loro beni. Raimondo VI di Tolosa, favorevole agli A., intralciava l'operato dei legati. Nel gennaio 1208 l'uccisione del legato Pietro di Castenau, da parte di un suddito di Raimondo, determinò lo scoppio del conflitto. Innocenzo III scomunicò Raimondo VI sciogliendone i sudditi dal giuramento di fedeltà, e fece predicare la crociata contro gli A. Il re di Francia, Filippo Augusto, non intervenne, ma permise la partecipazione dei suoi sudditi, che videro subito la possibilità di impossessarsi dei feudi meridionali. Nel 1209 il legato Arnoldo di Citeaux mosse da Lione con una forza armata raccogliticcia che occupò Beziers e Carcassonne. Simone di Monfort divenne capo del nuovo esercito, e fu creato visconte delle due città. La guerra si estese con estrema crudeltà. Simone non accettò consigli di sospensione, perché intendeva impossessarsi della contea di Tolosa. Raimondo si alleò con Pietro d'Aragona, ma fu sconfitto a Muret (1213). Il concilio di Montpellier (1215) assegnò a Simone la città di Tolosa, ed Innocenzo III, nel IV concilio lateranense (1215), riservò a Raimondo VII, figlio del conte di Tolosa, tutte le terre non ancora occupate, imponendo a Simone di richiedere al re di Francia l'investitura delle terre occupate. Intanto Luigi VIII, figlio di Filippo Augusto, interveniva occupando tutto il paese. Alla sua morte (1226) la guerra riprese, finché Raimondo VII chiese la pace (1228). Con il trattato di Meaux (1229) egli cedette alla Francia soltanto la Linguadoca, ma dovette concedere la figlia Giovanna in sposa ad Alfonso di Poitiers, fratello di Luigi IX (1271), assicurando così la successione dei Capetingi su tutti i suoi territori. Privi di aiuti politici e perseguitati dall'Inquisizione, gli A. in parte emigrarono (molti in Italia), in parte si convertirono al cattolicesimo, e lentamente scomparvero.